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23 August 2007

La sfida dell’innovazione, Intervento dell'Ambasciatore Ronald P. Spogli al Meeting di Rimini, 23 agosto 2007

Desidero ringraziare gli organizzatori del “Meeting dell’Amicizia” per avermi invitato a partecipare a questa tavola rotonda. Vorrei anche ringraziarli per la loro ospitalità, nonostante i 700,000 (settecento mila) partecipanti, 5,000 ospiti e centinaia d’interventi programmati dei quali occuparsi.

Ho riflettuto molto riguardo al tema di questa discussione: “Le Sfide del Sistema Italia”. L’approccio scherzoso potrebbe essere “Da dove comincio”? Oppure, “Come mai ci metto il doppio del tempo per andare al mare in Agosto”? Ma so che vi aspettate da me qualcosa di più serio. E perció tenteró di non deludervi.

Ritengo di essere in qualche modo qualificato ad esprimere la mia opinione. Come Ambasciatore degli Stati Uniti, negli ultimi due anni ho avuto l’opportunità di incontrare e confrontare idee sia con responsabili di governo che intellettuali – italiani ed americani - ed ho avuto modo di riflettere personalmente sul perché il sistema-Italia funziona in questo modo. Sono un appassionato dell’Italia da molto tempo. Sono d’origini italiane, ho legami familiari ed ho probabilmente passato circa un quarto della mia vita adulta nel vostro paese, ora da Ambasciatore e prima da studente, assistente universitario e ricercatore.

Ma soprattutto, ho studiata in una delle regioni più dinamiche dal punto di vista economico degli Stati Uniti, la Silicon Valley in California – dove un mix di alta tecnologia, collaborazione tra impresa ed università ed un’imprenditoria pronta ad assumersi dei rischi ha prodotto una gran parte di quella rivoluzione high- tech che ha sostanzialmente cambiato l’economia mondiale.

Posso dire di aver avuto un certo successo nel campo del private equity e del venture capital. Ho passato anni alla ricerca di idee innovative, contribuendo alla nascita di nuove aziende ed alla crescita di aziende già affermate.

Come Ambasciatore in Italia ho naturalmente l’incarico di mantenere alto il livello di collaborazione politica tra i nostri due paesi, ma il mio mandato implica anche far crescere le nostre relazioni economiche. Al mio arrivo, sono stato immediatamente colpito dal fatto che il nostro rapporto politico era solido, anche se vi erano occasioni di disaccordo, catalogabili però come mere divergenze tra ottimi amici. Invece, la nostra relazione economica, anche se non trascurabile, era ben al di sotto delle aspettative. Gli scambi commerciali e gli investimenti americani non erano ad un livello adeguato, specialmente se confrontati con altri paesi Europei. Inoltre, mentre osservavo il dibattito politico sulla Legge Finanziaria, mi sono interessato ai livelli di spesa italiana per la cooperazione e la difesa, ed ho chiesto al Ministero degli Affari Esteri informazioni sull’impegno italiano per la lotta all’AIDS od alla tubercolosi nei paesi meno sviluppati. Mi ha colpito il fatto che fosse prevalente una visione pessimistica sul futuro economico dell’Italia e quindi sulla possibilità di dedicare più risorse per tali progetti. Ciò non sorprende in una situazione dove la crescita economica nell’ultimo decennio è stata modesta e purtroppo l’Italia si trova agli ultimi posti nelle classifiche Europee che riguardano la produttività, l’innovazione, la pressione fiscale ed il peso della burocrazia.

Ad un certo punto abbiamo cominciato a guardare all’economia italiana in maniera diversa, ponendoci alcune domande fondamentali. Perché l’economia non è più dinamica? Cosa ostacola gli investimenti esteri? Dove sono i venture capitalist? Perché la Borsa Italiana è (relativamente) meno sviluppata? Perché in Italia più che in Europa si tende ad investire in libretti di risparmio o nel settore immobiliare? Perchè non si investe di più in innovazione? Dove sono i nuovi imprenditori?

Non abbiamo ancora trovato la risposta ad alcune di queste domande. Però, già a partire dal 2006, abbiamo individuato alcune iniziative che credevamo potessero essere utili. Ed è così che ad Aprile dello scorso anno abbiamo lanciato la “Partnership for Growth”.

Il progetto ha numerosi obiettivi e sta ancora evolvendo. In particolare, la Partnership for Growth mira a stimolare l’imprenditoria italiana al fine di promuovere l’innovazione e permettere all’Italia di mantenere il proprio ruolo nell’economia mondiale. Naturalmente non siamo disinteressati. L’Italia è un alleato fondamentale ed è importante che continui a mantenere un alto profilo negli affari internazionali. Gli investitori Americani vogliono investire in Italia. Le autorità italiane, a tutti i livelli, ci chiedono di favorire gli investimenti statunitensi nel vostro paese. Da parte nostra incoraggiamo le aziende Americane ad esplorare possibilità di investimento in Italia. Nel farlo però ci assumiamo la responsabilità di lavorare affinché le condizioni di mercato siano amichevoli, trasparenti e certe.

E’ chiaro a me come a voi che i fattori che contribuiscono alla crescita economica sono molteplici. Ed è per questo motivo che abbiamo dovuto fare delle scelte per concentrare i nostri sforzi. Una discreta conoscenza del vostro sistema politico ci permette di capire dove possiamo collaborare e dove invece i nostri sforzi non sarebbero apprezzati. In sostanza, vogliamo creare un’“alleanza per la crescita” e stiamo cercando di sollecitare l’attenzione dei governanti italiani per disporre quei cambiamenti legislativi che gli imprenditori, sia italiani che statunitensi, ritengono essenziali per permettere una crescita economica più dinamica. Per esprimere con due sole parole l’obiettivo del nostro progetto direi: FAVORIRE l’INNOVAZIONE

La capacità di competere è direttamente correlata alla capacità di stimolare ed assorbire l’innovazione. Al momento, l’Italia non eccelle in questo campo. Il Maastrich Economic and Social Research and Training Centre on Innovation and Technology, un centro di ricerca Europeo, ha definito l’Italia un paese “inseguitore” piuttosto che un paese “leader” nell’innovazione. L’Italia è risultata al 26 (ventiseiesimo) posto tra i 48 paesi esaminati dal rapporto, ultimo tra i paesi G-7.

Tutti noi abbiamo beneficiato ed usufruito in un modo o nell’altro dell’innovazione: dai dispositivi salva-vita, ai nuovi mezzi di comunicazione, ai prodotti per l’agricoltura, l’ambiente ed il nostro comfort. La capacità ad innovare è il valore più importante che distingue paesi come l’Italia e gli Stati Uniti da paesi a basso costo della mano d’opera. Altri paesi possono pagare meno la manodopera e produrre a costi minori, ma non possono comprare la creatività.

Il professor Edmund Phelps della Columbia University, premio nobel per l’economia nel 2006, ha una teoria molto appropriata sull’innovazione. Dico “appropriata” perché siamo al “Meeting”, un evento creato dai giovani e rivolto ai giovani - ed i giovani in Italia hanno di che preoccuparsi. I livelli di disoccupazione giovanile sono alti, peggiori al sud rispetto al nord e vi è un legittimo timore che una struttura sociale costruita per soddisfare le esigenze dei genitori, ricada sulle loro spalle. Phelps nota che l’innovazione porta ampi benefici alla società. Infatti, “un’economia più innovativa tende ad investire maggiori risorse in varie direzioni - in nuovi posti di lavoro e nuova clientela, in nuovi uffici e nuovi spazi produttivi”. Phelps, soffermandosi specificamente sulla questione della creazione di nuovi posti di lavoro, conclude che l’innovazione può rendere possibile la riduzione del cosiddetto “livello fisiologico di disoccupazione”, ritenendo che in un’economia innovativa, la stessa forza lavoro è in grado di generare quei livelli di stimoli mentali e capacità di risolvere i problemi che permettono la crescita personale dei lavoratori.

Permettetemi di ritornare alla Partnership for Growth e di descrivere brevemente di che cosa si tratta. La Partnership e’ un programma molto dinamico. In un anno e mezzo sono stati organizzati più di cento eventi e trenta sono in calendario per l’autunno. La Partnership for Growth vuole promuovere la commercializzazione dell’innovazione, sostenendo politiche a favore dell’imprenditoria – cioè di strumenti che permettano all’innovazione di uscire dai laboratori ed arrivare al mercato.

La struttura della Partnership for growth si basa su quattro pilastri che vi descrivo brevemente:

Il primo pilastro riguarda specificatamente la commercializzazione della ricerca. Abbiamo instaurato numerose collaborazioni al fine di stimolare la ricerca e di spingere le idee più innovative verso il mercato. Recentemente, ad esempio, una ricercatrice della National Science Foundation ha condotto uno studio della durata di tre mesi sugli strumenti a sostegno dell’innovazione e sulla collaborazione tra università ed impresa in Italia. Nonostante abbia riscontrato attività scientifiche di primissimo livello nei laboratori universitari, lo studio ha dimostrato che la collaborazione tra impresa ed università e ancora più l’eccezione che la regola. Su questo tema si e’ espresso anche il rettore dell’Università di Stanford, forse l'università che ha lanciato più di qualsiasi altra, il fenomena della Silicon Valley, durante il suo recente soggiorno in Italia per una serie di conferenze, di incontri a livello governativo e con le università e la partecipazione a programmi televisivi. Il Prof. Hennessy ha sempre sottolineato che la collaborazione tra università ed impresa è fondamentale nel processo innovativo.

Abbiamo anche invitato importanti imprenditori americani nel campo dell’alta tecnologia: è emersa l’importanza della collaborazione tra le facoltà economiche con quelle di ingegneria e scientifiche in generale.

Il nostro secondo pilastro riguarda l’anello debole della catena creativa in Italia – la relativa assenza di capitale di rischio, essenziale a far nascere e crescere le aziende ad alta tecnologia. Certo, ciò si inquadra in un contesto più ampio che vede una bassa partecipazione al mercato azionario e la riluttanza dei fondi pensione e degli investitori di tipo istituzionale a diversificare il proprio rischio. Ci siamo adoperati attivamente per informare e per “abbassare il livello di paura” nei confronti dei venturecapital ed i fondi di private equity. Tali investitori esistono in Italia, ma sono pochi.

L’Ambasciata ed i Consolati, spesso in collaborazione con organizzazioni quali la National Italian American Foundation, la Camera di Commercio Americana, od il Consiglio Italia-USA, ha ospitato relatori, operatori finanziari ed imprenditori per affrontare tali tematiche. Uno degli eventi di maggior successo organizzati lo scorso anno e’ stato proprio un simposio dove alcuni gestori di fondi pensione dello stato di New York hanno illustrato il notevole investimento in venture capital, dimostrando che i fondi pensione americani sono la fonte di finanziamento di molte start-up tecnologiche. Tale diversificazione del rischio ha portato a risultati economici superiori alla media – a beneficio degli attuali e dei futuri pensionati. Credo che quell’incontro abbia aperto la porta a nuovi spunti di riflessione sul tema, particolarmente difficile in Italia.

All’inizio dell’estate, grazie ad una videoconferenza, operatori finanziari italiani hanno potuto affrontare il tema con alcuni loro colleghi californiani discutendo in particolare delle normative a sostegno dell’imprenditorialità e delle varie possibilità per superare ostacoli apparentemente inamovibili. Ai primi di settembre, un gruppo di 20 imprenditori ed operatori finanziari italiani partiranno per gli Stati Uniti e visiteranno una delle nostre istituzioni più importante per l’insegnamento dell’imprenditorialità: la Fondazione Kaufmann di St. Luis. Andranno anche nel Milwaukee per incontrare rappresentanti del più grande network di Business Angels Americano. Crediamo che i business angels siano la più importante fonte di capitale per la creazione di start-up innovative. Speriamo che questo viaggio sia utile al gruppo italiano. Abbiamo pensato che fosse importante conoscere una realtà diversa dalla Silicon Valley anche per “diversificare” visto che l’innovazione non si crea solo nel settore dell’informatica.

Il nostro terzo pilastro riguarda un maggior apprezzamento del valore della proprietà intellettuale e della necessità di proteggere tale valore. Senza tale protezione, si elimina uno dei maggiori incentivi a creare nuovi prodotti – il profitto. Desideriamo vincere la riluttanza a riconoscere che una società basata sulla conoscenza come quella italiana e’ vittima della pirateria. Lavorando con innovatori, imprenditori, università, forze dell’ordine e più di recente con sindacati e comuni, credo che si sia raggiunto un generale consenso riguardo al danno causato all’economia dalla pirateria e dalla contraffazione. Le leggi italiane in materia sono adeguate, ma, come avviene anche in altri campi, l’applicazione della legge è poco efficace. Ed e’ per questo che il governo americano continua ad includere l’Italia in una lista di paesi che non proteggono adeguatamente la proprietà intellettuale ed insiste a fare pressione sul governo Italiano affinché la protezione della proprietà intellettuale sia gestita in maniera più efficace. Devo dire però che in questo campo ho notato una maggior attenzione da parte della classe politica. Lo scorso maggio sono stato invitato dal Ministro per lo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, ad un pubblico dibattito su questo argomento. Ad ottobre parteciperò insieme al Vice Presidente del Consiglio D’Alema ed al Ministro della Giustizia Mastella ad un convegno durante il quale sarà data la massima rilevanza politica al tema.

Il quarto, ed ultimo, pilastro ambisce a creare modelli imprenditoriali per i giovani. A tal fine, abbiamo creato un piccolo (per ora) programma – il Fulbright-BEST (che sta per Business Exchange and Student Training). Tramite il prestigioso programma Fulbright, cinque giovani italiani dottorandi di ricerca ed aspirati imprenditori hanno avuto la possibilità di trascorrere sei mesi in California frequentando corsi di management presso le università di Santa Clara, Stanford e Berkeley. Hanno quindi potuto “applicare” le nozioni teoriche studiate durante un programma di stage presso alcune delle aziende più innovative della Silicon Valley.

Abbiamo anche promosso il concetto di “cultura imprenditoriale” proponendo casi di successo tramite una serie di video conferenze e web-chat. I programmi web hanno ospitato imprenditori italiani di prima generazione che hanno dialogato virtualmente con il pubblico e portato la loro esperienza pratica. In particolare, hanno discusso dell’idea iniziale, del superamento dei principali ostacoli, della ricerca di risorse finanziarie e del risultato ottenuto. Gli imprenditori italiani che si sono presentati sugli schermi – sia coloro che hanno avuto successo in Italia, sia coloro che si sono trasferiti negli Stati Uniti per avere un accesso più facile ai capitali o più semplicemente un ecosistema imprenditoriale più favorevole – sono stati i migliori promotori dell’idea di imprenditorialità. I principali target del nostro programma sono le facoltà di economia e d’ingegneria aziendale in tutta Italia. Per vostra informazione questa serie di presentazioni e’ disponibile sul sito web dell’ambasciata www.usembassy.it sotto il titolo “Capturing Creativity”.

Verso fine anno abbiamo in programma di utilizzare questa stessa tecnologia per promuovere una serie di trasmissioni che chiameremo “The Entrepreneur’s Toolbox” – letteralmente la “cassetta degli attrezzi” dell’imprenditore. Sarà il seguito di “Capturing Creativity”, ma fornirà maggiori dettagli sulla nascita e lo sviluppo di un’impresa – con l’idea di voler fornire un breve corso di formazione sull’imprenditorialità.

Abbiamo già cominciato a trasmettere presentazioni sugli aspetti pratici. Per esempio, si è discusso del sistema dei brevetti italiano con un ricercatore dell’IBM Italia. Volevo informarvi che le trascrizioni delle presentazioni trasmesse sono disponibili sul nostro sito internet, anche se siamo un po’ in ritardo visto il volume di lavoro.

Lavorando su questo progetto, ci siamo accorti che ci sono numerose iniziative italiane simili alla nostra. Per esempio, Torino Wireless ogni anno invia managers negli Stati Uniti al fine di imparare come funziona il mercato americano. Il Dipartimento di Ingegneria di Lecce invia per un anno i propri dottorandi in una delle migliori università americane per toccare con mano l’interdipendenza tra ricerca e mondo imprenditoriale. Grazie alla vicinanza fisica tra centri di ricerca, università, industria ed amministrazioni locali sono nati numerosi “incubatori” per il trasferimento tecnologico ed il lancio di nuove aziende. Finanziatori di Venture capital, Angel investors e nuovi imprenditori stanno cominciando a creare una rete per scambiarsi informazioni e diffondere la cultura dell’imprenditorialità.

Molti italiani – studenti, imprenditori, finanziatori, politici – condividono le nostre idee sulle attuali difficoltà da superare. Il 2 agosto scorso, il Ministro Mussi ed il Ministro Padoa-Schioppa hanno annunciato il “Patto per l’Università e la Ricerca”, un’iniziativa per incentivare l’efficienza e l’efficacia del sistema universitario. Ho particolarmente apprezzato la volontà di rafforzare la cultura della valutazione, creando dei parametri di efficienza che premino gli atenei meglio in grado di rispondere alla domanda proveniente dalle famiglie e dalle imprese. Un sistema di valutazione - e la diffusione dei risultati - attiverà un sano meccanismo concorrenziale tra le sedi universitarie e quindi un aumento della mobilità dei migliori studenti e dei migliori professori.

I problemi sottolineati nel documento sono noti: scarso riconoscimento del maggiore impegno e della qualità del lavoro dei professori, mancanza di studenti stranieri per scarsa presenza di corsi in lingua straniera, soprattutto in inglese. Credo che quest’ultimo fattore sia importante, non certo per sciovinismo culturale, ma perché rappresenta un indice di apertura nei confronti di studenti e professori stranieri che vorrebbero venire in Italia. In questo campo esiste una notevole differenza con i maggiori paesi europei, come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania.

Spero che il mio discorso non sembri presuntuoso. Non conosciamo la soluzione di tutti i problemi, ma anche noi vogliamo sostenere l’innovazione perché siamo preoccupati di perdere competitività. La prova più lampante di questo è che il Presidente Bush ha appena firmato una legge chiamata “America Competes” (l’acronimo di Creating Opportunities To Meaningfully Promote Excellence In Technology, Education, And Science – cioè, Creare le opportunità per promuovere l’eccellenza in Tecnologia, Istruzione e Scienza). Questa legge assegna nuovi fondi alla ricerca di base nel campo della fisica, per sostenere settori come le nanotecnologie, il super-calcolo e le energie alternative. Promuove, inoltre, l’insegnamento della matematica, delle materie scientifiche e delle lingue straniere in ogni livello scolastico.

La nostra cultura è talvolta diversa dalla vostra e le nostre soluzioni prendono direzioni differenti: noi siamo più tolleranti nei confronti del fallimento e più inclini ad assumerci dei rischi. Crediamo che tocchi agli investitori, piuttosto che ad entità burocratiche, selezionare le idee che meritano di essere finanziate. Ma entrambi siamo preoccupati della competizione e cerchiamo sempre nuovi modi di sostenere l’innovazione e la crescita economica. Dovremmo guardare all’innovazione come qualcosa da incoraggiare, da far fiorire e non da amministrare burocraticamente.

Credo di aver parlato troppo. Volevo trasmettervi la nostra preoccupazione per la competitività italiana ed un’idea sui nostri processi decisionali. Faccio i migliori auguri a tutti voi per… un futuro innovativo.

 


 

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