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TRADUZIONE INFORMALE, DA NON CONSIDERARE COME TESTO UFFICIALE

Introduzione - 6 marzo 2007

Rapporto sul rispetto dei diritti umani nei vari paesi - 2006

Pubblicato dal Bureau of Democracy, Human Rights, and Labor (Ufficio per la democrazia, i diritti umani e il lavoro)
6 Marzo 2007

Questo rapporto descrive il comportamento dei governi nel mettere in pratica gli impegni assunti in sede internazionale in materia di diritti umani. Questi diritti fondamentali, espressi nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dalle Nazioni Unite, costituiscono ciò che il Presidente Bush definisce la “richiesta non negoziabile della dignità umana”. Così come ha affermato il Segretario di Stato Condoleezza Rice, la piena promessa della Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite non può essere realizzata dall’oggi al domani, ma è una priorità urgente, che non può incorrere in ulteriori ritardi.

La Dichiarazione Universale invita “ogni individuo ed ogni organo della società ... a promuovere il rispetto di questi diritti e di queste libertà, ed a garantirne, mediante misure progressive a carattere nazionale ed internazionale, il riconoscimento ed il rispetto universale ed effettivo...”.

Gli Stati Uniti prendono molto sul serio gli impegni sul rispetto dei diritti umani. Sappiamo perfettamente che questo rapporto è stato redatto in un momento in cui sono stati contestati i nostri risultati e le azioni che abbiamo intrapreso per rispondere agli attacchi terroristici nei nostri confronti. Gli Stati Uniti continueranno a rispondere apertamente alle preoccupazioni in buona fede degli altri paesi, anche per mezzo di rapporti che sottoponiamo periodicamente, adempiendo agli obblighi previsti dai vari trattati sul rispetto dei diritti umani, cui abbiamo aderito. Ci siamo anche impegnati per un continuo miglioramento. Le leggi, la politica e le norme americane che riguardano la detenzione, il trattamento ed il processo di terroristi sospetti, hanno subito un’evoluzione considerevole durante gli ultimi cinque anni. Il nostro sistema democratico di governo non è infallibile, ma è affidabile – la nostra vigorosa società civile, con i nostri mezzi di comunicazione liberi e vitali, i rami indipendenti del nostro governo, ed un principio di legalità ben saldo, agiscono da correttivi.

Il seguente rapporto, voluto dal Congresso, costituisce un elemento essenziale dell’impegno degli Stati Uniti nel promuovere il rispetto dei i diritti umani in tutto il mondo. Per trent’anni, questo rapporto annuale è stato ampiamente utilizzato, sia qui che all’estero, come documento di riferimento per stabilire i progressi raggiunti e le sfide che permangono. Esso costituisce il fondamento per un’azione di cooperazione tra governi, organizzazioni ed individui che cercano di porre fine agli abusi e rafforzare la capacità dei paesi di proteggere i diritti fondamentali di ciascuno.

Questo rapporto analizza il comportamento di ciascun paese relativamente all’anno 2006. Ogni relazione è a se stante. Tuttavia, qui di seguito vengono riportate e descritte alcune considerazioni di carattere generale, sostenute da esempi tratti da singoli paesi. Gli esempi citati sono a scopo illustrativo, e non rappresentano tutti gli scenari possibili.

Tendenze promettenti, tristi realtà

Come dimostra l’analisi di questo rapporto, nell’arco del 2006 donne e uomini di tutto il mondo hanno continuato a lottare affinché i propri diritti venissero rispettati, i loro governi si dimostrassero disponibili, le loro voci fossero ascoltate, i loro voti tenuti in considerazione, e che leggi imparziali e giustizia fossero stabilite per tutti. C’è stato un crescente riconoscimento del fatto che la democrazia costituisce la forma di governo che può andare incontro, meglio di qualunque altra, alle richieste dei cittadini di dignità, libertà ed uguaglianza. Queste tendenze sono promettenti, tuttavia il rapporto riflette delle realtà molto tristi:

Primo: i progressi raggiunti nel campo dei diritti umani e della democrazia sono stati una vittoria difficile ed impegnativa da sostenere. Mentre alcuni paesi hanno ottenuto progressi significativi, altri sono rimasti immobili, ed altri ancora sono regrediti.

Come dimostrano gli esempi sottostanti, il comportamento è stato diverso in ciascun paese, ed è dipeso da svariati fattori, quali livello di impegno governativo, capacità istituzionale, grado di corruzione, e forza della società civile.

Nel gennaio 2006, in Liberia, il governo del Partito dell’Unità eletto democraticamente e guidato da Ellen Johnson-Sirleaf, primo capo di stato donna eletto in Africa, ha sostituito il governo Nazionale di Transizione della Liberia, che aveva svolto il ruolo di governo provvisorio dal 2003, alla fine di una rovinosa guerra civile durata 14 anni. Il governo ha intrapreso iniziative significative per correggere le carenze passate in materia di diritti umani, inclusa una collaborazione con i partner internazionali per riabilitare il settore della giustizia del paese ed istituire, nella capitale, l’ufficio del difensore pubblico. Il Presidente ha destituito o ha sospeso un certo numero di ufficiali governativi corrotti. La Commissione sulla Verità e la Riconciliazione, nominata nel 2005 per investigare sulle violazioni ed i crimini di guerra avvenuti durante la guerra civile, ha iniziato a raccogliere le deposizioni dei testimoni. Nonostante questi progressi, la Liberia continua a dover affrontare enormi sfide nel campo dei diritti umani, quali un sistema giudiziario debole, la corruzione governativa e l’impunità dei reati, la violenza sessuale, ed una situazione di povertà estrema che costringe al lavoro minorile.

Nel corso di quest’anno abbiamo continuato ad assistere ad una diminuzione sostanziale delle uccisioni provocate dalle forze armate e dalla polizia nelle aree politicamente sensibili dell’Indonesia. Sono state indette 54 elezioni, in linea di principio libere ed eque, a livello provinciale, di reggenza, distrettuale e municipale; ricordiamo, in particolar modo, quelle avvenute in dicembre ad Aceh, dove un ex-comandante dei ribelli ha ottenuto il governatorato . Sebbene la violenza religiosa tra le varie comunità sia generalmente diminuita, essa, purtroppo, ha continuato a persistere in alcune aree. Il governo e i tribunali sono stati incapaci di affrontare, nel passato, le violazioni sui diritti umani e le terribili atrocità, sia in Indonesia che a Timor Est.

L’esame della situazione dei diritti umani in Marocco hamostrato notevoli progressi, sebbene siano persistite alcune problematiche. Il governo ha cominciato ad affrontare la questione delle passate violazioni dei diritti umani fornendo un’indennità, attraverso il Consiglio di Consultazione per i Diritti Umani (Consultative Council on Human Rights), nel caso di alcuni specifici casi di arresto, scomparsa e maltrattamento durante il periodo tra il 1956 ed il 1999. A marzo, il governo ha emanato un decreto contro la tortura, sebbene siano continuate ad arrivare notizie di torture perpetrate dai vari settori delle forze di sicurezza. Nonostante le continue restrizioni sulla libertà di stampa e di parola, si è svolto un ampio e lungo dibattito, sia a livello pubblico, che a livello giornalistico. Durante l’anno, il governo ha punito alcuni giornalisti che non osservavano le restrizioni sulla libertà di parola, e molti giornalisti hanno praticato l’auto-censura. Il traffico degli esseri umani, in modo particolare quello relativo allo sfruttamento sessuale, ed il lavoro minorile, rimangono una fonte di preoccupazione; comunque, sia il governo che la società civile, si sono dimostrati sempre più attivi nel cercare di risolvere tali problematiche.

La Repubblica Democratica del Congo ha tenuto elezioni democratiche presidenziali e legislative, le prime in più di 45 anni, mettendo fine ad un periodo di transizione, dopo la guerra civile, durato tre anni. E` stata scritta una nuova Costituzione. Tuttavia, scarseggiano le testimonianze sul rispetto dei diritti umani. Oltre al massacrante conflitto ad est, dove il controllo governativo è rimasto debole ed i gruppi armati hanno continuato a commettere gravi violazioni, anche le forze di sicurezza governative del paese hanno commesso seri abusi, che non sono stati puniti.

Ad Haiti, i cittadini hanno dimostrato il loro impegno alla democrazia andando alle urne per tre volte nel corso del 2006. Oltre 3.5 milioni di cittadini si sono iscritti nelle liste elettorali e, al primo turno delle elezioni presidenziali e parlamentari nel mese di febbraio, c’è stata un’impressionante affluenza stimata intorno al 70% dei votanti iscritti. Dopo un processo elettorale relativamente corretto e non violento, gli elettori hanno scelto il Presidente Rene Preval, e riempito 129 seggi parlamentari. A dicembre, ad Haiti si sono svolte le elezioni municipali, le prime in oltre un decennio. Tuttavia, molto rimane ancora da fare per ristabilire pienamente il principio di legalità, incluse la revisione del sistema giudiziario rimasto largamente inefficiente, e la continua necessità di una riqualificazione e di un attento controllo della Polizia Nazionale Haitiana.

In Ucraina, dopo la rivoluzione arancione, si sono continuati a riscontrare notevoli progressi nella pratica dei diritti umani. Le elezioni parlamentari, avvenute nel marzo 2006, sono state le prime elezioni libere in 15 anni di indipendenza. Il paese ha continuato a migliorare nel campo della libertà di stampa, della libertà di associazione e dello sviluppo di una società civile. Nonostante i risultati ottenuti, si è assistito al permanere di problemi gravi, inclusa la corruzione del governo a tutti i livelli.

Sebbene i dati relativi al rispetto dei diritti umani in Kyrgyzstan siano migliorati considerevolmente, a seguito del cambiamento avvenuto nel 2005 a favore di una leadership democraticamente eletta, nell’anno 2006 una settimana di proteste di massa pacifiche è culminata nell’adozione frettolosa di una Costituzione emendata, che ha offerto la possibilità di effettuare i meccanismi formali di controlli ed equilibri istituzionali. Alla fine di dicembre, però, il Parlamento ha approvato un’altra Costituzione, che annullava molti di quei controlli istituzionali. Il governo ha anche perpetrato continui attacchi contro le organizzazioni non governative, finanziate da paesi stranieri (ONG).

Nonostante l’impegno espresso dal Presidente Musharraf a favore di una transizione democratica e di “una moderazione illuminata”, i dati relativi al rispetto dei diritti umani in Pakistan hanno continuato ad essere scarsi. Sono proseguite le restrizioni sulla libertà di movimento, espressione, associazione e religione. E’ continuata la sparizione di attivisti provinciali ed oppositori politici, specialmente in quelle province in balia di disordini interni e rivolte. Le forze di sicurezza hanno continuano a commettere uccisioni extra-giudiziarie. Arresti arbitrari e torture sono rimaste pratiche comuni. La corruzione ha dilagato sia in ambito governativo, che nelle forze di polizia. Una nota positiva è il fatto che a dicembre l’Assemblea Nazionale ha approvato, ed il Presidente Musharraf ha sottoscritto, il Decreto per la Protezione delle Donne – e questa è stata la prima volta in trent’anni che un governo pakistano abbia abrogato leggi che consentivano la sistematica violazione dei diritti delle donne. La legge emenda il provvedimento dell’Ordinanza Hudood del 1979, relativo a stupro e adulterio, togliendo il reato di stupro dall’ambito del giudizio della legge pakistana della Sharia, e portandolo sotto la giurisdizione del Codice Civile pakistano. Questa legge elimina, inoltre, l’obbligo da parte della vittima dello stupro di presentare quattro testimoni maschili che possano convalidare le accuse.

Sebbene nel 2005, in Egitto, siano avvenute le prime elezioni presidenziali multipartitiche, nel 2006 le richieste pubbliche di una maggiore democrazia ed affidabilità hanno spesso incontrato una forte reazione da parte del governo. Il continuo arresto dell’ex-candidato presidenziale Ayman Nour, ha fatto sorgere serie preoccupazioni sul percorso della riforma politica e della democrazia nel paese. Continuando una tendenza iniziata nel 2005, il governo ha arrestato e detenuto centinaia di attivisti affiliati alla Fratellanza Mussulmana, partito messo al bando ma tollerato, per periodi che solitamente duravano intere settimane. A febbraio, due alti magistrati sono stati messi in stato di fermo, per essere interrogati in merito al fatto di aver richiesto pubblicamente l’indipendenza della magistratura. La polizia egiziana ha arrestato e detenuto circa 500 attivisti, per aver partecipato ad alcune dimostrazioni a sostegno della indipendenza giudiziaria. In aggiunta a tutto ciò, sono stati documentati gravi casi di tortura da parte delle autorità. Il governo ha anche arrestano, detenuto e maltrattato molti bloggers di internet.

In Kazakhstan, il governo ha limitato l’attività dell’opposizione politica, applicando richieste di iscrizione onerose, ed impedendo o negando la registrazione dei partiti politici. La fusione dei partiti pro-governo ha consolidato la ferrea leadership del partito politico OTAN del Presidente Nazarbayev, lasciando un minor spazio politico per esprimere punti di vista alternativi e richiesta di riforme. Il governo ha attaccato l’opposizione politica attraverso l’imposizione di oneri e restrizioni sulla libertà di assemblea, l’approvazione di leggi per limitare la libertà di stampa, ed attacchi alle ONG.

La Russia ha continuato ad avere un potere esecutivo centralizzato, che si è espresso anche attraverso l’approvazione di alcuni emendamenti alle leggi elettorali e una nuova legislazione per i partiti politici, che garantisce al governo l’ampio potere di regolare, esaminare, limitare e perfino far cessare l’attività dei partiti. Questo orientamento, determinato da una Duma compiacente, dalla corruzione e dalla selettività delle forze dell’ordine, dalla pressione politica esercitata sul sistema giudiziario e dalle restrizioni imposte alle ONG ed ai media, ha provocato un’ulteriore erosione dell’affidabilità del governo. In Cecenia e nelle altre aree del Caucaso settentrionale sono continuate gravi violazioni dei diritti umani, incluse uccisioni illegali e maltrattamenti di civili, sia da parte delle forze di sicurezza federali, che da quelle della Repubblica Cecena. I combattenti ribelli hanno commesso attentati terroristici, motivando politicamente le sparizioni avvenute in quella regione. In un alto numero di casi, la Corte Europea dei Diritti Umani ha dichiarato la Russia responsabile di tali maltrattamenti.

In Venezuela, il governo Chavez ha continuato a consolidare il potere per quanto riguarda il ramo esecutivo. Le autorità hanno continuato ad attaccare l’opposizione e le ONG, e ad indebolire l’indipendenza giudiziaria. Gli osservatori internazionali hanno giudicato le elezioni presidenziali in linea di massima libere ed eque, grazie alle quali il Presidente Chavez ha ottenuto la ri-elezione con il 63% dei voti. Nel suo discorso inaugurale, il Presidente Chavez ha chiesto all’Assemblea Nazionale, nella quale il suo partito controlla il 100% dei seggi, di garantirgli il potere del governo attraverso un decreto esecutivo.

Nelle Fiji e in Tailandia, i militari hanno rovesciato i governi democraticamente eletti.

Una seconda, triste realtà è che l’instabilità, dovuta ai conflitti interni o a quelli che si svolgono lungo i confini, possa costituire una minaccia o un ostacolo per i progressi nel campo dei diritti umani e della democrazia.

Nonostante il continuo impegno del governo dell’Iraq a promuovere la riconciliazione nazionale e la ricostruzione, ad attenersi all’esito delle elezioni e a stabilire il principio di legalità, sia l’intensificarsi della violenza settaria, che gli atti di terrorismo, hanno gravemente colpito, nel 2006, i diritti umani ed il progresso democratico. Sebbene la Costituzione e la legge irachena abbiano stabilito regole precise per la tutela dei diritti umani, gruppi armati hanno violato tali diritti, attaccando da due diverse direzioni: da una parte, coloro che hanno proclamato la loro ostilità al governo – i terroristi di al-Qaeda, i pochi irriducibili sostenitori rimasti del regime Baatista, e gruppi di insorti guerriglieri; e dall’altra, i membri delle milizie sciite e le forze di sicurezza dei singoli Ministeri – alleati nominalmente con il governo – che hanno commesso torture ed abusi di ogni genere.

Sebbene l’Afghanistan abbia realizzato progressi importanti nel campo dei diritti umani dalla caduta dei talebani nel 2001, i risultati hanno continuato ad essere scarsi. Ciò è dovuto essenzialmente alla presenza di istituzioni centrali deboli e ad una rivolta implacabile; i talebani, al-Qaeda ed altri gruppi estremisti hanno aumentato gli attacchi contro funzionari governativi, forze di sicurezza, ONG ed altro personale assistenziale, e civili disarmati. Il numero degli attacchi suicidi è cresciuto enormemente durante l’anno, come sono aumentati gli attacchi contro le scuole e gli insegnanti. Ci sono state continue notizie di casi di arresti arbitrari e detenzione, omicidi extra-giudiziari, torture e pessime condizioni di detenzione. A dicembre, il Presidente Karzai ha lanciato un Piano d’Azione Transitorio per la Giustizia, elaborato per risolvere le violazioni passate in materia di diritti umani e migliorare la capacità istituzionale del sistema giudiziario.

Il cammino verso le riforme intrapreso dal Libano, dopo l’assassinio dell’ex-primo Ministro Rafiq Hariri nel 2005, ed il conseguente ritiro delle truppe siriane dopo circa trent’anni di occupazione, è stato ostacolato dal conflitto tra Hezbollah ed Israele, avvenuto tra i mesi di luglio e agosto 2006. Prima di tale conflitto, il governo libanese aveva iniziato a rimuovere i tanti ostacoli che intralciavano le associazioni politiche ed i partiti. Dopo che Hezbollah è entrato in Israele dal territorio libanese, ed ha rapito ed ucciso parecchi soldati israeliani, le forze militari israeliane hanno risposto entrando nel territorio libanese. Il conflitto è terminato con la fine delle ostilità, sostenuta dalle Nazioni Unite. Nonostante il cessate il fuoco e lo spiegamento delle Forze Armate Libanesi e delle Forze delle Nazioni Unite ad Interim nel Sud del paese, le milizie libanesi ed Hezbollah hanno continuato ad esercitare una notevole influenza in ogni angolo del paese.

A Timor Est, una serie di scontri sanguinosi tra le forze di difesa nazionale ed un gruppo formato da dissidenti militari, polizia e forze civili, hanno portato ad una violenza diffusa tra le bande criminali della capitale. Alla richiesta del governo, forze militari provenienti da Australia, Nuova Zelanda, Malesia e Portogallo, si sono assunte la responsabilità di garantire la sicurezza nella capitale. Il 25 agosto, la missione integrata delle Nazioni Unite per Timor Est è subentrata nel mantenimento dell’ordine pubblico. Questo conflitto interno ha causato lo spostamento di circa 150.000 persone, più del 15% della popolazione del paese.

Terzo: nonostante i progressi ottenuti nel campo dei diritti umani e dei principi democratici in ogni parte del mondo, gran parte dell’umanità vive ancora nella paura, e sogna ancora la libertà.

I paesi nei quali il potere è rimasto concentrato nelle mani di governanti inaffidabili – sia totalitari che autoritari – hanno continuato ad essere i maggiori violatori sistematici dei diritti umani nel mondo.

Nel 2006, la Korea del Nord è rimasto uno dei regimi maggiormente isolati e repressivi del mondo. Esso controlla quasi tutti gli aspetti della vita dei cittadini, negando libertà di parola, stampa, assemblea ed associazione, e limitando la libertà di movimento ed i diritti dei lavoratori. La Costituzione contempla la “libertà del culto religioso”, ma la vera libertà religiosa non esiste. Si stima che dalle 150.000 alle 200.000 persone, inclusi prigionieri politici, sono state detenute in campi di detenzione, e che molti prigionieri sono morti a causa di torture, fame, malattie e freddo.

Il governo militare a Burma ha ampiamente utilizzato sistemi quali esecuzioni, stupro, tortura, detenzione arbitraria e trasferimento di interi villaggi, in particolar modo di minoranze etniche, per mantenere il controllo del potere. Prigionieri e detenuti sono stati sottoposti a maltrattamenti, e tenuti in condizioni durissime ed estreme. Sono continuate la sorveglianza, le vessazioni e l’incarceramento degli attivisti politici; il premio Nobel e leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, è rimasto in isolamento agli arresti domiciliari, e circa 1.100 prigionieri politici hanno languito in carcere. Il ricorso ai lavori forzati, il traffico di esseri umani, l’arruolamento di bambini-soldato e la discriminazione religiosa, sono rimaste pratiche molto diffuse. Il governo ha organizzato una pseudo-Convention Nazionale, selezionando accuratamente i delegati e proibendo il libero dibattito. Reclamizzata come facente parte della “road map della democrazia”, la Convention è stata pensata per annullare i risultati dell’elezione del 1990, ed adottare una Costituzione favorevole al regime. Il malgoverno crudele e distruttivo del regime ha causato un flusso di profughi, la diffusione di malattie infettive e del traffico di droga, ed il trasferimento di molte persone nei paesi confinanti.

Il governo dell’Iran ha violato in modo evidente la libertà di parola e di assemblea, intensificando le misure restrittive contro dissidenti, giornalisti e riformatori – una serie di provvedimenti che consistevano in arresti arbitrari e detenzioni, torture, sparizioni, uso eccessivo della forza e divieto diffuso di processi pubblici equi. Il governo ha continuato ad incarcerare e a maltrattare gli appartenenti al bahaismo e alle altre minoranze religiose, ed ha organizzato una conferenza, ampiamente criticata, per negare l’esistenza dell’Olocausto. Nella fase precedente alle elezioni iraniane dell’Assemblea degli Esperti del 15 dicembre, più dei due terzi di coloro che avevano fatto richiesta di candidatura, tra cui tutte le candidate femminili, sono stati esclusi, lasciando molti seggi vacanti. Anche centinaia di candidati alle elezioni nazionali municipali sono stati esclusi. Il governo ha continuato a mostrare disprezzo nei confronti degli appelli nazionali ed internazionali che esortavano ad un governo responsabile e, nel 2006, ha dato il suo sostegno ai movimenti terroristici in Siria e Libano chiedendo, inoltre, la distruzione di uno stato membro delle Nazioni Unite.

Nello Zimbawe, il governo di Mugabe ha continuato a perpetrare violazioni dei diritti umani lungo i confini del suo paese. La corruzione dei funzionari e l’impunità di chi commette reati sono stati problemi ampiamente diffusi. Nel 2002, sia la legge sui Segreti di Stato (Official Secrets Act), che la Legge sull’Ordine Pubblico e la Sicurezza (Public Order and Security Act), sono rimaste in vigore, limitando notevolmente le libertà civili. Nelle elezioni parlamentari straordinarie del 2006 ed in quelle del consiglio rurale e distrettuale, la manipolazione del processo elettorale da parte del governo non ha consentito agli elettori di esercitare liberamente il diritto di voto, e ha deviato le elezioni a favore dei candidati del partito dominante. Lo strapotere del partito dominante ha reso possibile il fatto che i cambiamenti istituzionali avvenissero senza un’ampia consultazione. Le forze di sicurezza hanno esercitato violenza, picchiando e arrestando arbitrariamente i critici ed i sostenitori dell’opposizione. La distruzione delle fattorie e la confisca delle proprietà sono continuate, e talvolta sono state condotte in modo violento. La campagna dello sfratto forzato, che ha lasciato 700.000 persone senza casa durante l’Operazione per Ristabilire l’Ordine (Operation Restore Order) avvenuta nel 2005, ha continuato su scala minore. Il governo ha interferito con le iniziative delle organizzazioni umanitarie, incaricate di fornire assistenza. A dicembre, Mugabe ed i suoi fedelissimi hanno proposto di estendere il mandato per altri due anni, spostando le elezioni presidenziali al 2010.

A Cuba, il governo, guidato temporaneamente da Raul Castro a causa della malattia di Fidel Castro, ha continuato di fatto a violare tutti i diritti dei cittadini, incluso il diritto fondamentale di cambiare il governo pacificamente, o criticare la rivoluzione o i suoi leader. Nel 2006 il governo ha intensificato la violenza contro i dissidenti e gli altri cittadini, considerati una minaccia al governo stesso, spesso attraverso i cosiddetti “atti di ripudio”, che consistono in intimidazioni verbali e minacce fisiche. Le violenze e gli abusi contro gli arrestati ed i prigionieri sono rimasti impuniti. Sebbene alcuni di essi sono stati rilasciati, alla fine dell’anno almeno 283 prigionieri politici e detenuti sono stati trattenuti, inclusi 59 su 75 attivisti pro-democratici e a favore dei diritti umani, messi in prigione a seguito di misure restrittive stabilite nel marzo 2003.

Nel 2006, la situazione dei diritti umani nella Repubblica Popolare Cinese è peggiorata in alcune aree. C’è stato un numero crescente di casi ad alto profilo che riguardano la sorveglianza, le violenze, l’arresto e l’incarcerazione di attivisti politici e religiosi, giornalisti, scrittori ed avvocati difensori, che hanno cercato di esercitare i propri diritti nel rispetto della legge. Alcuni membri delle loro famiglie sono stati aggrediti ed arrestati. Sono continuate le dimostrazioni di massa e le proteste con la richiesta di porre fine alle ingiustizie, ma in alcuni casi sono state represse con la violenza. Sono stati imposti nuovi controlli governativi su: ONG, mezzi di comunicazione - incluso internet - tribunali e giudici. La repressione di gruppi religiosi non riconosciuti e delle minoranze, in particolare degli Uighurs e dei tibetani, rimane ancora un problema molto grave.

In Bielorussia, il governo di Lukashenko ha continuato ad intensificare la sua politica repressiva. Le elezioni presidenziali di marzo sono state falsate da brogli. Quasi 1000 persone sono state arrestate a seguito di misure restrittive sulle manifestazioni pubbliche contro i risultati elettorali, e molte persone sono state condannate a trascorrere brevi periodi in prigione. Molti attivisti e membri dell’opposizione, incluso Aleksander Kozulin, in corsa per le politiche contro Lukashenko, hanno ricevuto condanne dai 2 ai 5 anni e mezzo di carcere.

Il governo dell’Eritrea ha continuato ad essere uno dei più repressivi dell’Africa subsahariana, e la situazione relativa ai diritti umani è peggiorata nel 2006. Le forze di sicurezza governative hanno commesso omicidi extra-giudiziari; ci sono notizie certe che le forze di sicurezza hanno sparato contro coloro che cercavano di superare il confine con l’Etiopia. Il governo ha intensificato la campagna di arresti degli evasori del servizio nazionale e dei loro familiari, e fonti sicure hanno dichiarato che alcuni degli arrestati sono stati torturati. Come ha già fatto nel 2005, il governo ha costretto molte organizzazioni umanitarie internazionali a lasciare il paese, nonostante la presenza di una gravissima siccità nella zona del Corno d’Africa. Notevoli restrizioni sono state imposte alla libertà di culto.

La quarta, triste realtà, è che mentre da una parte sta aumentando la pressione mondiale per una maggiore libertà personale e politica, dall’altra essa si sta scontrando con un’accresciuta resistenza da parte di coloro che si sentono minacciati dai cambiamenti politici e sociali.

I difensori dei diritti umani e delle organizzazioni non governative svolgono un ruolo fondamentale per il successo di una nazione. Nel mondo attuale, i problemi con cui gli stati si devono confrontare sono troppo complessi, perfino per i paesi più potenti, per poterli affrontare da soli. I contributi della società civile e la libera circolazione delle idee e delle informazioni, sono essenziali per risolvere una così vasta quantità di sfide, a livello nazionale ed internazionale. Limitare lo spazio politico delle ONG ed il dibattito pubblico, frena semplicemente la crescita della propria società.

Nel 2006, in ogni regione del mondo ci sono stati governi che hanno risposto alla crescente richiesta di libertà personale e politica, non accettando i propri obblighi nei confronti delle loro genti, ma opprimendo coloro che hanno sostenuto i diritti umani ed hanno subito abusi, come le organizzazioni non governative ed i mezzi di comunicazione indipendenti, internet incluso. Un preoccupante numero di paesi ha emanato o applicato leggi e norme in modo selettivo contro le ONG ed i giornalisti. Questi sono stati anche sottoposti a provvedimenti arbitrari, e spesso, assalitori ignoti hanno commesso atti criminali contro di loro. Per esempio:

Nel 2006, in Russia, una nuova legge sulle ONG è entrata in vigore ad aprile, imponendo dei rigorosi requisiti di iscrizione per le ONG, il controllo serrato delle organizzazioni, la richiesta di relazioni esaustive ed onerose su programmi ed attività, ed autorizzando il Servizio di Registrazione Nazionale a respingere la richiesta di iscrizione, o ad effettuare la chiusura di un’organizzazione sulla base di criteri vaghi e soggettivi. La libertà di espressione e l’indipendenza dei mezzi di comunicazione sono diminuite, a causa della pressione e delle restrizioni esercitate dal governo. Ad ottobre, degli sconosciuti hanno assassinato il difensore dei diritti umani Anna Politkovskaja, un’eminente giornalista, famosa per i suoi scritti che denunciavano le violazioni dei diritti umani in Cecenia. Il governo ha utilizzato il suo potere di controllo su tutte le televisioni e le stazioni radio nazionali, e sulla maggioranza di quelle più autorevoli a livello regionale, per restringere l’accesso alle informazioni considerate sensibili.

In Bielorussia, le attività delle organizzazioni della società civile sono state rese difficili da onerose tasse di ispezione, ed altrettanto gravosi requisiti di iscrizione, mentre sono proseguiti gli attacchi contro gli appartenenti ai mezzi di comunicazione indipendenti. A novembre, l’attivista pro-democratico Dmitriy Dashkevich è stato condannato a 18 mesi di reclusione per aver fatto lavorare una ONG non regolarmente iscritta.

Il governo del Kazakhstan ha permesso l’iscrizione del partito di opposizione True Ak Zhol, dopo che uno dei suoi co-presidenti, Sarsenbaiuly, era stato ucciso, ed ha interpretato in modo restrittivo l’Articolo 5 della Costituzione per sospendere le attività di formazione non partisan dei partiti politici, finanziate da paesi stranieri, affermando che finanziare corsi di formazione equivale a finanziare partiti politici. A luglio, il Presidente Nazarbayey ha trasformato in legge degli emendamenti restrittivi relativi ai mezzi di comunicazione, considerati un passo indietro dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione nella Libertà Europea dei Rappresentanti dei Mezzi di Comunicazione (Organization fro Security and Cooperation in Europe’s freedom of Media Representative). Il governo ha continuato ad usare queste leggi restrittive e diffamatorie per multare, arrestare e sospendere i responsabili degli organi di informazione, i giornalisti ed i critici. Ad aprile, uno di questi appartenenti agli organi di informazione è stato brutalmente picchiato.

La libertà di espressione, di associazione e di assemblea sono decisamente limitati in Turkmenistan, ed il governo ha cercato di controllare tutte le attività delle ONG. La televisione satellitare straniera è accessibile in tutto il paese, ma il governo ha controllato tutti i mezzi di comunicazione nazionali, ed ai giornalisti locali è stato proibito di avere contatti con gli stranieri, se non specificatamente permesso. L’accesso ad internet, estremamente limitato, è stato fornito attraverso la società Turkmen Telecom, di proprietà del governo; dal settembre 2002, non sono state autorizzate altre utenze nella capitale. Ad agosto, il governo ha arrestato i giornalisti Ogulspapar Myradova, Annakurban Amanklichev, e Sapardurdy Hajiyev, e li ha condannati dai sei ai sette anni di carcere per possesso di armi, dopo un sommario processo a porte chiuse. A settembre, la Myradova, corrispondente di Radio Europa Libera/Radio Libertà, è morta in prigione in circostanze sospette. Le ONG hanno riferito che, in estate, lei e gli altri due colleghi sono stati torturati mentre si trovavano in carcere, nel tentativo di estorcere loro una confessione in merito al possesso di armi. Il 21 dicembre, è morto il presidente Saparmurat Niyazov.

Il governo dell’Uzbekistan ha cercato di controllare la maggior parte delle attività delle ONG, ed ha chiuso più di 200 organizzazioni della società civile, incluse le ONG internazionali che operavano nel paese, denunciando presunte violazioni della legge. Giornalisti indipendenti e attivisti per i diritti umani hanno continuato ad essere perseguitati.

Il governo della Siria ha controllato in modo serrato la diffusione di informazioni, ed ha proibito le critiche al governo e la discussione delle questioni settarie, incluso i diritti religiosi e quelli delle minoranze. Si sono verificati atti di detenzione e violenza, a seguito di episodi di espressione individuale di opinione che violavano queste restrizioni; un esempio, è dato dall’arresto, a febbraio, del giornalista Adel Mahfouz, dopo che egli aveva espresso l’esigenza di un dialogo inter-religioso, a seguito della controversia sulla rappresentazione del Profeta Muhammed nei cartoni animati. Il governo si è affidato alle leggi di stampa e pubblicazione, al codice penale ed alla Legge sullo Stato di Emergenza, per censurare l’accesso ad Internet e limitare l’uso dei mezzi di comunicazione elettronici. Sono anche accaduti episodi vessatori su attivisti nazionali per i diritti umani, inclusi una stretta e regolare sorveglianza e l’imposizione del divieto di espatrio, che impedisce loro di partecipare a seminari o conferenze al di fuori del proprio paese.

In Iran, la libertà di stampa è scesa ai livelli più bassi mai raggiunti, in quanto il governo ha chiuso il quotidiano Shargh & Iran (L’Oriente e l’Iran) , bloccando l’accesso ai siti internet di informazione – inclusi il New York Times e la BBC Farsi (BBC in persiano) – ed incarcerando giornalisti e blogger. Le autorità hanno utilizzato il divieto di espatrio come arma contro i giornalisti.

In Burundi, si sono intensificati gli arresti, la detenzione e l’intimidazione di giornalisti ed attivisti dei diritti umani da parte del governo; tra molti altri individui, i poliziotti hanno arrestato ed incarcerato, per svariati mesi, il presidente della più importante ONG del paese contro la corruzione. Da quanto viene riferito, il governatore di una provincia ha definito la Lega Iteka, la ONG più importante del paese nel campo dei diritti umani, un nemico della pace, e a novembre un funzionario governativo ha annunciato che 32 ONG internazionali registrate nel paese avrebbero potuto essere espulse per non aver presentato al governo le relazioni annuali obbligatorie.

Nel Rwanda, l’atmosfera è opprimente per quanto riguarda il funzionamento della società civile. Le ONG nazionali devono, per legge, registrarsi ogni anno e fornire rapporti al governo sulle loro attività. Da quanto è stato riferito, le autorità hanno richiesto che, prima di poter accedere ai fondi dei donatori, le ONG ottenessero l’autorizzazione da parte del governo su alcuni progetti. Inoltre, il governo ha preteso che tutte le ONG si unissero in un collettivo, inteso per gestire le loro attività.

Il governo del Venezuela ha continuato a vessare ed intimidire gruppi della società civile, in modo particolare i capi dell’organizzazione Sumate, una ONG addetta alla supervisione elettorale, il cui processo per cospirazione e tradimento per aver accettato sovvenzioni straniere, è stato posticipato a tempo indeterminato, ma continua a pendere sulle loro teste. Alla fine dell’anno, una bozza di legge è stata presa in considerazione dall’Assemblea Nazionale e, qualora venisse implementata, aumenterebbe il controllo del governo sul finanziamento delle ONG, e limiterebbe la loro facoltà di operare nel campo dei diritti umani e dello sviluppo della democrazia. Gli emendamenti al codice penale, che impongono sentenze di carcere per aver insultato funzionari pubblici, ed i violenti attacchi contro i giornalisti hanno contribuito a determinare un clima di auto-censura. Il governo ha intensificato le vessazioni contro gli organi informazione, sia di quelli indipendenti che di quelli appartenenti all’opposizione. A dicembre, il Presidente Chavez ha annunciato che il governo non avrebbe rinnovato la licenza al gruppo audiovisivo Radio Caracas Television, il network televisivo commerciale più vecchio del paese. Il governo ha accusato i proprietari della rete televisiva di gestire un canale “golpista” e di aver violato il patrimonio pubblico.

In Cina, le ONG a livello nazionale ed internazionale, hanno continuato a dover affrontare esami minuziosi e restrizioni. Alla fine del 2006, l’organizzazione Reporter senza Frontiere, ha dichiarato che 31 giornalisti e 52 scrittori di testi per internet sono stati messi in prigione. Mentre da una parte il governo ha incoraggiato l’uso di Internet, dall’altra ha intrapreso una serie di passi per controllarne l’utilizzo, i contenuti, limitare le informazioni e punire coloro che violavano le regole. Il governo ha imposto severi requisiti per la registrazione dei siti web, ha intensificato il controllo ufficiale dei contenuti online, e ha ampliato la definizione di contenuto online illegale. Le autorità hanno costantemente bloccato l’accesso ai siti che venivano ritenuti polemici e, da quanto è stato riferito, hanno iniziato ad impiegare una tecnologia estremamente sofisticata, che permette il blocco selettivo di contenuti specifici, piuttosto che di interi siti internet.

Il governo del Vietnam ha continuato a controllare e ad applicare restrizioni ad Internet, bloccando i siti web di diritti internazionali e notizie giornalistiche. La legge permette ai cittadini di criticare apertamente l’inefficienza delle autorità e la corruzione, ma il governo ha continuato a proibire ai giornalisti di redigere articoli che contestano il ruolo del Partito Comunista, promuovono il pluralismo o la democrazia multipartitica, o si interrogano sulla politica dei diritti umani. Il governo ha vietato l’accesso diretto ad Internet attraverso service provider indipendenti, ed ha imposto ai proprietari di Cybercafé di registrare i dati personali dei clienti ed i siti visitati. Il governo ha rilasciato parecchi dissidenti ad alto profilo politico e religioso, incluso il Dott. Pham Hong Son, che era stato messo in carcere per aver tradotto articoli sulla democrazia, ed averli pubblicati su internet.

Il genocidio è la più triste realtà di tutte.

Circa 60 anni dopo l’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo da parte dalle Nazioni Unite – espressione della coscienza oltraggiata dell’umanità di fronte alla mostruosità dell’Olocausto ed al cataclisma della Seconda Guerra Mondiale – l’incubo del genocidio continua a devastare la regione del Darfur in Sudan.

Nonostante l’Accordo di Pace Comprensivo del gennaio 2005, che ha posto fine ad un conflitto civile durato 22 anni tra il nord e il sud del paese, e l’instaurazione, nello stesso anno, di un’unità di governo, il conflitto etnico è continuato in Sudan, ed in modo catastrofico nel Darfur. Il governo sudanese e la milizia filogovernativa janjawee sono responsabili del genocidio nel Darfur, e tutti le parti in guerra hanno commesso gravissime violazioni, quali lo sterminio di civili, lo stupro come strumento di guerra, la tortura sistematica, le rapine ed il reclutamento di bambini soldato. Alla fine del 2006, il conflitto del Darfur ha causato almeno 200.000 morti tra i civili e due milioni di dispersi. Oltre 234.000 profughi sono fuggiti nel vicino Ciad, e sia in questo stato, che nella Repubblica Centrale Africana, avvengono conflitti etnici lungo i confini con il Sudan.

Nonostante abbia espresso la sua adesione a favore di quanto stabilito nel summit di Addis Abeba, il governo sudanese si è pubblicamente opposto all’intervento delle forze internazionali per il Darfur, ed ha rinnovato la sua offensiva militare durante l’ultima metà del 2006. Le deteriorate condizioni di sicurezza hanno costretto alcune ONG ed organizzazioni internazionali a diminuire o a sospendere le attività.

Tutelare i difensori

Se bisogna adempiere alla grande promessa della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo , la comunità internazionale – e specialmente le democrazie del mondo, non possono accettare l’idea che le tristi realtà di oggi siano impossibili da cambiare. Certamente, esse esigono che noi ci schieriamo dalla parte di coloro che operano per la dignità umana e le riforme politiche.

Nel 2006, gli sforzi coraggiosi dei difensori dei diritti umani sono stati evidenziati dai governi democratici:

Le risoluzioni nazionali approvate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2006, hanno sottolineato la necessità di proteggere i difensori dei diritti umani in Iran, Bielorussia, Corea del Nord e Burma.

Il Fondo delle Nazioni Unite per la Democrazia, nato da un’idea presentata all’Assemblea Generale dal Presidente Bush nel 2004, ed istituito nel 2005, è giunto con successo al suo primo anno di vita. Il suo Consiglio si è accordato per finanziare 125 progetti, tra le oltre 1.300 proposte presentate da più di 100 paesi – una spesa di oltre 35 milioni di dollari in sovvenzioni, elargite a organizzazioni pro-democratiche della società civile.

Nel giugno 2006, l’Assemblea Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) ha adottato, a livello regionale, la dichiarazione di Santo Domingo, un accordo innovativo multilaterale, intrapreso dai paesi della regione per “garantire, ad ogni persona, la libertà di espressione, attraverso l’accesso ad un dibattito politico non censurato ed il libero scambio di idee mediante tutte le forme di mezzi di comunicazione, Internet compreso.“ I Ministri degli Esteri hanno anche dichiarato la loro decisione di promuovere ed incoraggiare strategie e normative in tal senso.

La commissione inter-americana OAS ha pubblicato un rapporto sui gravi problemi che le unità dei diritti dell’uomo per i difensori dei diritti dell’uomo devono affrontare in alcuni paesi, evidenziando la necessità dei governi di sostenere il loro lavoro.

Prima dell’assemblea dell’Unione Africana dei Capi di Stato, le organizzazioni della società civile dei 19 paesi africani, si sono incontrati a Banjul, in Gambia, al fine di elaborare delle raccomandazioni per i leader del summit sulle seguenti questioni: ruolo della società civile nel Meccanismo di Valutazione da parte dei Pari Africani, conformità dei paesi agli obblighi previsti dai trattati, modi per migliorare l’accesso all’informazione da parte della società civile, e leggi sulla cittadinanza che alimentano la discriminazione.

Nella Regione del Grande Medio Oriente e del Nord Africa, il Forum per il Futuro ha riunito funzionari governativi e rappresentanti della società civile dell’intera regione, insieme ai paesi del G-8. L’incontro si è svolto presso il Mar Morto, in Giordania. Quasi 50 leader di società civili, rappresentanti centinaia di organizzazioni dei 16 paesi della regione, hanno partecipato ad una serie di dibattiti sul principio di legalità, trasparenza, più diritti alle donne e ai giovani, ed inquadramento legale per le organizzazioni della società civile. Hanno, inoltre, discusso sul rafforzamento delle riforme, stabilendo meccanismi di verifica delle raccomandazioni. Sebbene la fase più difficile debba ancora avvenire – adozione ed implementazione delle richieste avanzate dalla società civile – il Forum ha contribuito ad aprire uno spazio politico, che prima era totalmente inesistente, per le organizzazioni della società civile, allo scopo di istruire ed interagire con i governi della regione.

Nel dicembre 2006, dopo aver designato la Giornata Internazionale dei Diritti Umani, il Segretario di Stato Condoleezza Rice ha lanciato due importanti iniziative americane a sostegno dei diritti umani e dei difensori della democrazia:

La creazione di un Fondo per i Difensori dei Diritti Umani, amministrato dal Dipartimento di Stato, che elargirà rapidamente piccole sovvenzioni per aiutare i difensori dei diritti umani che si devono confrontare con necessità straordinarie, causate dalla repressione dei governi. Questi finanziamenti potrebbero andare a coprire i costi relativi a difesa legale, spese mediche o necessità impellenti delle famiglie degli attivisti.

Il Segretario Rice ha anche pubblicato dieci NGO Principles , (principi guida per le ONG), che riguardano il trattamento delle organizzazioni non governative da parte delle autorità governative. A questi principi fondamentali si ispirerà la politica degli Stati Uniti nei confronti delle ONG, ed anche noi le utilizzeremo come criteri di valutazione delle azioni degli altri governi. Tali principi sono stati concepiti per essere integrati ai lunghi e dettagliati documenti delle Nazioni Unite ed alle normative internazionali che riguardano i difensori dei diritti umani. Essi possono sicuramente contribuire a raccogliere il sostegno internazionale a favore di quelle ONG che vengono ostacolate, costituendo un’utile risorsa utile per governi, organizzazioni internazionali, gruppi della società civile e giornalisti.

Quando le democrazie sostengono il lavoro dei difensori dei diritti dell’uomo e delle organizzazioni della società civile, significa che stiamo aiutando uomini e donne di tutto il mondo a forgiare il proprio destino nella libertà. E così facendo, li stiamo aiutando a costruire un mondo più sicuro e migliore per tutti.

Dobbiamo tutelare i difensori dei diritti dell’uomo, poiché essi sono gli artefici del cambiamento pacifico e democratico.

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