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14 marzo 2007

Michele Appendino e Marco Palombi incontrano il pubblico durante il primo appantamento con Face2Face Caputring Creativity, 14 marzo 2007

(La trascrizione integrale dell'incontro tra i due imprenditori e i partecipanti alla video webchat)

 

Michele: Salve a tutti, benvenuti su Face2Face, prima puntata di questo nuovo programma organizzato dall’ambasciata americana, e all’interno di Face2Face, questo che facciamo noi si chiama Capturing Creativity, catturare la creatività, io sono Michele Appendino e sono qui con Marco Palombi,

Marco: Ciao Michele

Michele: che è un mio amico ed è il creatore di Splinder una società molto conosciuta che è la più grande piattaforma di blog in Italia recentemente passata sotto il gruppo Dada Corriere della sera, questa è la prima puntata quindi vi spiegherò in due parole cosa stiamo cercando di fare e poi il formato.

Nelle conversazioni avute con l’ambasciata e con l’ambasciatore Spogli nell’ambito del loro programma “Partnership for Growth”, che vuol dire agire insieme verso la crescita e lo sviluppo del nostro paese, cosa molto importante per il nostro paese, abbiamo pensato di far conoscere e mettere insieme quelli che sono un po’ gli imprenditori di prima generazione, cioè imprenditori che non avevano alle spalle un business di famiglia, un’azienda di famiglia, ma che se lo sono creati da solo come tra l’altro me e Marco.

Quindi ci siamo messi insieme e abbiamo deciso di cominciare con un ciclo di interviste dove un imprenditore intervisterà l’altro per fare un po’ conoscere la nostra storia, cosa ci ha spinto, le motivazioni. Cosa importante del formato, siamo su internet e quindi sarà l’interattività, per cui questa in realtà è la vostra trasmissione noi seguiamo quello che l’audience vuole, dovevo partire io ad essere intervistato, i blogger hanno chiesto a piena voce Marco e così sarà. Io farò soltanto una domanda a Marco e poi prenderò le vostre che arrivano dagli schermi, è la prima puntata non sappiamo in quanti siete collegati, sicuramente ci sono almeno mia mamma e mio papà che saluto, ciao Mamma ciao Papà, almeno due possiamo essere sicuri che ci siano, però è un po’ un esperimento e quindi poi lo adatteremo nelle prossime puntate anche secondo le vostre esigenze.

Direi partiamo subito con le domande, faccio io la prima a Marco poi vedo che già ne stanno arrivando da voi. Marco tu che hai un passato di ingegnere, sei stato in McKinsey a fare il consulente, quando hai deciso di fare l’imprenditore e perché, cio è che cos’è che ti ha scatenato, credo che questo sia importante farlo capire.

Marco: Michele ho cominciato perché, dopo essermi laureato in ingegneria, ho iniziato a lavorare per grandi aziende; sono stato in Francia a lavorare per Procter and Gamble sono tornato in Italia a lavorare per McKinsey e poi sono andato a lavorare per una società del gruppo Fiat che si chiama Comau in Sud America. Alla fine la verità era che volevo fare qualche cosa che mi piacesse veramente, quello che trovavo di fatto che mi limitava lavorando in un’azienda era che l’azienda ha chiaramente i suoi obiettivi e questi sono spesso diversi da quello che ti interessa veramente fare, soprattutto poi in un periodo in cui la tecnologia sta cambiando cos ì rapidamente, e così rapidamente si sviluppano nuovi business,. Avendo anche un passato di programmatore capivo abbastanza la tecnologia e, quando è esploso internet, ho detto “questa è la cosa che voglio fare assolutamente” e a quel punto ho creato la mia prima azienda che si chiamava Let’s Tv dalla quale ho appreso tanto perché ho fatto tanti errori, di cui casomai parliamo in dettaglio se vuoi perchè può essere interessante.

Michele: Qual è stato l’errore più grande che hai fatto?

Marco: L’errore più grande che ho fatto è quello di creare un’azienda che avesse un prodotto che per essere venduto e quindi far crescere il fatturato era necessario chiedere il permesso ad altri cioè, l’amministratore delegato e il marketing manager di un’azienda che avrebbe dovuto comprare il prodotto. Siccome il prodotto era anche un prodotto abbastanza costoso, perché richiedeva un investimento importante, allora passi anche un anno, due anni ad aspettare che qualcuno compri il tuo prodotto, quindi non sei libero in qualche modo di sviluppare la tua azienda indipendentemente; per questo motivo ho poi creato un’azienda che invece seguisse completamente la mia passione che era quella di far dialogare la gente on-line. Ho creato Splinder assieme ai miei soci, poi casomai parleremo anche di questo, e poi l’azienda è cresciuta ed è diventata la più grande piattaforma di blog in Italia, figurati che quando l’ho venduta a RCS Dada avevamo raggiunto i 5 milioni e mezzo di utenti unici mese che è una cosa veramente interessante.

Michele: Complimenti, io dovevo investire nell’azienda di Marco, non mi ha mai lasciato, per cui siamo ancora amici ma insomma me la sono legata al dito. Vedo che stanno arrivando le prime domande dall’audience e quindi passerei alle domande, io cercherò di farle tutte ma abbiamo dei limiti di tempo, la trasmissione dura un’ora per cui se ad alcune domande non verrà data risposta cercheremo comunque di fare in modo che i temi principali vengano trattati.

La prima è di Luca da Milano che chiede a Marco “se far partire l’azienda è stato più facile o più difficile del previsto” appunto sappiamo che avendo anch’io fatto partire un po’ di aziende che i primi periodi vengono dimenticati se le cose vanno bene ma poi alla fine se uno ci ripensa... quindi Marco se ce ne parli un po’, mi sembra una domanda molto interessante.

Marco : Si assolutamente, diciamo che nella seconda azienda che ho fatto, Splinder, è stato tutto più programmato rispetto alla prima, la prima volta pensi di poter partire ed avere successo perché sei convinto che la tua idea sia quella vincente e che in poco tempo riesci a mettere su un’azienda, ma in realtà non succede così; quindi nella prima azienda Let’s Tv, è stato tutto molto più complesso, la cosa che avevo sbagliato in quel momento era come vendere il prodotto, a chi lo dovevo vendere, dovevo aspettare che gli altri lo comprassero, anche lì una delle cose che ho imparato è: se vedi che le cose sono più dure di quanto pensi prima di partire taglia, cioè riaggiusta il tuo tiro oppure, come mi è successo, poi la fortuna ha voluto che dopo un anno e mezzo sono riuscito a vendere il prodotto ad una banca e poi un’azienda che si era quotata in borsa in quel momento ha comprato la mia azienda, ma non la reputo una storia di successo proprio per quel motivo, perchè non ho avuto un escalation di fatturato importante come poteva esserci.

Michele: Quindi persistenza da una parte, flessibilità e adattamento alle circostanze dall’atra.

Marco: Assolutamente.

Michele: Mauro da Pistoia, questa domanda devo dire è interessante, e penso di immaginare la risposta “quando controllavi la tua azienda quanto tempo al giorno non pensavi all’azienda?” Quanto tempo?

Marco: Adesso tu sei passato diciamo dal cappello di venture capital al cappello di imprenditore e lo sai benissimo che quando metti un’azienda in piedi praticamente pensi sempre all’azienda, io questo lo vedo molto bene perchè ho lavorato dieci anni per altre aziende anche internazionali, però la verità è che il venerdì sera stacchi e poi rinizi a pensarci di nuovo il lunedì mattina e in più la sera quando vai a casa durante la settimana esci con gli amici e sei contento, quando fai l’imprenditore e ci sono i tuoi soldi dentro, soprattutto perché i soldi all’inizio sono pochi, investi in qualche cosa che se ti va male soprattutto in Italia non è che viene visto come una cosa positiva, no? E lì ci pensi, ci pensi tanto, ci pensi sempre praticamente io ho fatto il conto che, a parte problemi personali di famiglia che purtroppo ho avuto in questi anni, però nei cinque anni, e mettendo anche gli anni precedenti dell’azienda precedente di fatto non ho mai fatto una vacanza che si chiamasse vacanza, mai e neanche weekend veramente.

Michele: Questo penso che sia un messaggio importante, l’imprenditoria almeno nei primi anni sicuramente non è una cosa semplice. Bene vediamo la prossima domanda, Luisa da Roma anche questa domanda interessante “quanto sono serviti i tuoi studi le tue esperienze lavorative precedenti” magari focalizziamolo sugli studi che credo sia una cosa importante visto che sappiamo esserci degli studenti che stanno guardando la trasmissione.

Marco: Beh guarda, io mi sono laureato in ingegneria meccanica a Napoli, e devo dire che quello che ho studiato ad ingegneria mi è servito poco dal punto di vista pratico, mi ha dato una struttura mentale se vuoi, però di fatto da un punto di vista pratico molto poco, ho avuto la fortuna di aver fatto un semestre di studi ad Harvard dove ho studiato Computer Science, sono andato lì a studiare avendo già programmato per conto mio, era l’epoca nell’84-85 quando i più “smanettoni” di noi che hanno quella età si erano comprati l’Apple 2, il Commodor 64 o li avevano avuti in regalo dai genitori, si programmava su quelle cose, ho avuto la fortuna che qualcuno mi dicesse che potevo andare a fare questo corso, là io ho imparato non solo a programmare bene ma ho visto che c’era gente che guadagnava anche dal lavoro che faceva. Quando sono tornato in Italia, stiamo parlando dell’86-87, sapevo programmare, però non c’era ancora un mercato per queste cose, però questa cosa mi è rimasta, questa cosa messa insieme poi all’esperienza lavorativa che ho fatto e quindi la gestione, il management, capire poi quali sono i problemi che ha un azienda, che non ha un’azienda, come si fa l’assunzione delle persone, quali sono i problemi ricorrenti e cose del genere, il capire il business, metterlo assieme alla tecnologia ha fatto si che potessi mettere in piedi un’azienda che ha avuto successo, quindi diciamo le due cose sono state importanti, certo fossi uscito dall’Università e avessi messo in piedi l’azienda da subito probabilmente non sarebbe andata così come è andata.

Michele: Benissimo, Mario da Catania e Francesco da Terni, le metto insieme perché trattano lo stesso argomento “sono intervenuti nella tua azienda investitori di capitale di rischio quindi Venture Capitalist oppure Business Angel quindi privati che investono in aziende innovative? Se si, in quale modo e che valutazione dai dell’investitore poi chiedono anche che quote dell’azienda hai ceduto” quindi raggruppo le due domande sull’argomento crescita finanziaria e varie opzioni.

Marco: Si allora, io do la mia risposta però casomai poi intervieni tu perché sei Venture Capital e su questo argomento forse puoi rispondere meglio. Io non ho accettato soldi assieme ai miei soci per sviluppare Splinder e Tipic (Splinder è il Brand), che poi è la società che ho creato nel 2000-2001. Era la fine della new economy tutti quanti stavano scappando dalla new economy perché c’è tanta gente che ci ha perso un sacco di soldi e proprio in quel periodo invece noi abbiamo deciso di investire, però investire con le nostre forze, investendo in un modo diverso di fare business che ci siamo inventati in quel momento e seguendo un poco quello che succedeva nell’ambiente open source, ora parlo un po’ in gergo tecnico di internet però sostanzialmente non compravamo programmi ma usavamo quelli che erano disponibili gratuitamente e contribuivamo al loro sviluppo. Non abbiamo assunto persone all’inizio ma abbiamo distribuito quote della società fra quelli che poi sono diventati soci, e il motivo per cui all’inizio non abbiamo preso venture capital, in gergo questa cosa viene detta bootstrap, è perché nel 2000-2001 nessuno voleva più investire in queste cose, quando poi abbiamo iniziato a crescere, ma crescere non tanto in fatturato, quanto in pagine viste, di fatto Splinder ha portato il brand blog in Italia ossia il nome Blog in Italia, a quel punto avremo potuto chiedere i soldi agli investitori, però si è sempre verificato il fatto, fino al 2004-2005 soprattutto 2005 che la valutazione percepita che davano gli investitori soprattutto in Italia di quello che avevamo creato non era a livello adeguato rispetto a quello che noi consideravamo e quindi abbiamo sempre tenuto e siamo cresciuti mettendo da parte, cioè tutto quello che riuscivamo a fatturare era reinvestito nell’azienda, e poi ci siamo visti anche con te e ti avevo parlato di questa cosa, alla fine non ci siamo messi d’accordo neanche lì però sostanzialmente non ho accettato venture capital in effetti però, tu puoi casomai dire due parole su questo perchè in Italia lo hai fatto il venture capital.

Michele: Certo, ma io credo che non esista un modello che vada bene per tutti se andiamo a vedere ci sono molte aziende, c’è Bill Gates che ha la Microsoft non hai mai raccolto Venture Capital è partito da solo, l’azienda è andata talmente bene che non aveva bisogno, sicuramente la scelta di Marco è stata coraggiosa perché dopo esser partiti, così detto boostrap, quindi facendo tutto da soli, avere del capitale esterno sicuramente serve anche ad avere più possibilità di crescita però ripeto, queste sono cose che ogni imprenditore deve un po’ scegliere il suo modello, credo che sia importante sottolineare che ci sono varie tipologie d’imprenditore: c’è l’imprenditore che nel gergo un po’ accademico del settore viene definito live style cioè quello che fa l’imprenditore non tanto per creare un’azienda grossa, globale ma più come stile di vita, vuole essere indipendente o avere una cosa sua, se un giorno vuole andare a sciare o al mare lo fa e ritiene con questa formula di essere più in controllo di se stesso c’è invece quello che è l’imprenditore di crescita, growth entrepreneur, ci sono molti casi sia in Europa che negli Stati Uniti, che invece fa un’azienda per fare una cosa grossa, e anche quando è diventata grossa continua a crescere, in questo secondo caso al giorno d’oggi con i mercati globali che cambiano in fretta fare tutto da soli senza nessun capitale esterno forse è più difficile di quello che era 20 o 30 anni fa.

Marco: Assolutamente, infatti quello che è successo nel mio caso è che ogni volta che si parlava in qualche modo di qualcuno interessato ad entrare nell’azienda ti ripeto, la valutazione di fatto che ne dava era bassa, poi in effetti è successo qualche cosa, è successo che in America My Space è stato comprato da Murrdoch diciamo da Newscorp, poi ci sono state un sacco di acquisizioni nello stesso settore nel quale operavamo e poi ci siamo conosciuti con le persone che hanno creato Dada, loro hanno riconosciuto il valore che poi questa azienda aveva, a questo riconoscere assolutamente Vision nel fatto poi di aver fatto il passo in qualche modo, adesso probabilmente il valore percepito è ancora superiore, però quando vendi lo sai benissimo...

Michele: Quindi vendi e pentiti.. però c’è proprio una domanda specifica mi dispiace, da Andrea di Roma che ti chiede “ti sei pentito di aver venduto Splinder? Non hai mai pensato durante la trattativa di non vendere più perchè magari ti sarebbe convenuto tenerla visto l’esplosione del web 2.0?” Hai già parzialmente risposto, magari posso dire anche io che avevo un attimo aiutato Marco nella decisione, penso nel suo caso ha fatto bene a vendere l’azienda anche perché come ripeto è sempre bene pentirsi forse di aver venduto troppo basso che invece di essere rimasto indipendente in un mercato che cresce troppo no? Quindi..

Marco: Beh sì da un lato quello, dall’altro mi ricordo sempre il fatto che tu mi raccontavi che quando poi hai chiuso con il fondo, dopo 6 mesi casomai il prezzo era salito tantissimo ma poi è crollato tutto, per cui queste cose non le puoi mai sapere veramente, la mia idea è che in questo momento il valore cresca però c’erano varie ragioni per cui poi ad un certo punto abbiamo venduto, non è solamente una ragione di valutazione ma ci sono tante ragioni personali che stanno dietro, di famiglia, di persone, perchè anche i soci e le persone che lavorano in un’azienda hanno bisogno di essere strutturati in un certo modo, il bootstrap fino ad un certo punto, come dicevi tu, ha un senso poi bisogna rendersi conto di che cosa si vuole fare, si può o accettare venture capital o fiananziamenti quel che si voglia e decidere di strutturare l’azienda meglio e rimanere indipendenti, anche questa poteva sicuramente essere un’opzione da perseguire, oppure anche quella di vendere completamente, io ho venduto completamente insieme ai miei soci ad un certo punto abbiamo deciso di fare così.

Michele: Ottimo, ci sono in realtà due domande, una specificamente credo sia per me perchè Andrea da Montecatini chiede in che modo la sua azienda può contribuire alla creazione di una solar energy farm, a questa domanda specifica magari risponderò con un’e-mail separatamente penso sia per me perchè Marco non si occupa di energia solare io si, poi invece ce n’è un’altra interessante di Andrea da Bologna “quanto pensi sia stato importante la componente fortuna detto anche in italiano fattore c. nell’avvio del tuo business, soprattutto in termini di essere al momento giusto nel posto giusto”, questa è una domanda interessante perché soprattutto in Italia c’è un po’ questa visione, diciamo comune, che chi ha successo nelle cose ha fortuna, poi dipende come si definisce fortuna, sono interessato a sentire quello che dice Marco.

Marco: Ma guarda la fortuna, faccio un passo indietro e la metto in maniera generale, diciamo che devi essere sempre al momento giusto e al posto giusto perché altrimenti la tua azienda non ha valore, non puoi aspettare dieci anni che il momento giusto venga, e questo me lo puoi confermare di fatto, non esiste non essere al momento giusto, il punto è interpretare i momenti e capire il mercato dove va, ma soprattutto seguire le proprie passioni, quando abbiamo creato Tipic all’inizio e Splinder lo abbiamo fatto nel 2000-2001 quando nessuno voleva più lavorare su internet tutti quanti stavano scappando, avevano perso un sacco di soldi e la bolla era esplosa e noi invece cercavamo qualche cosa che effettivamente ci permettesse di utilizzare internet in maniera diversa, far conoscere le persone, far conoscere quelle che erano le passioni delle persone, far incontrare le persone, queste cose mancavano all’epoca e in qualche modo abbiamo fatto quella piattaforma che noi volevamo, poi quello che è successo è che nei 5 anni successivi, quindi comunque abbiamo dovuto aspettare 5 anni perché il mercato riconoscesse il valore, nei 5 anni successivi quello che è successo è che siamo arrivati, veniamo percepiti come arrivati al momento giusto e al posto giusto però di fatto diciamo all’inizio l’abbiamo fatto per nostra passione, la passione era legata al momento, adesso è esploso tutto di nuovo, siamo contenti, però in generale direi che un’azienda se non è al momento giusto al posto giusto forse è meglio cambiare business, ecco.

Michele: Se posso magari aggiungere una cosa c’è Vinod Khosla che è uno dei più noti investitori di Venture Capital americani che lavorava per Kleiner Perkins, società che tra le altre cose ha fatto Amazon e più recentemente Google e così via che quando gli hanno chiesto i tre fattori chiave di successo per i suoi investimenti ne aveva citati tre, il primo era il fondatore, quindi neanche l’idea, proprio il fondatore, il secondo era chiaramente il prezzo a cui si era entrati e il terzo un po’ l’elemento chiamiamolo fortuna, timing, quello chiaramente evidente che in parte ci vuole, io personalmente ho visto tre cicli, poi ne parleremo meglio la prossima volta, ho visto tanta gente fare delle aziende di successo fino al 2000, ho visto anche tanta gente con ottime idee ottimi sforzi che non sono andati molto lontani perchè dovevano raccogliere soldi nel 2002 dopo i gravi problemi del 2001 e non sono riusciti quindi non era colpa loro ma era una cosa di circostanza. Qua c’è un’altra domanda per me a cui prometto di rispondere la prossima volta Andrea da Torino “com’è nata l’idea di Net Partner e con quale argomento hai convinto gli investitori” dico solo adesso che il primo fondo ne abbiamo convinti pochi il mio socio ed io perchè dovevamo raccogliere 50.000.000 ne abbiamo raccolti 7 però comunque siamo partiti lo stesso, sono ancora qui. Però ne parleremo la prossima volta perchè adesso vorrei focalizzare più su Marco visto che il 28 marzo alle 16:00 invece Marco intervisterà me. C’è invece Nick da Casteddu.

Marco: Cagliari

Michele: Ah ecco provincia di Cagliari

Marco: No, è Cagliari proprio

Michele : Ah ok, Cagliari, che ha quindi un conterraneo della città acquisita di Marco, ha una domanda specifica che è la seguente “l’informazione geografica sta assumendo un ruolo sempre più importante vediamo Google ad esempio e quindi tu Marco che opportunità di sviluppo vedi in questo settore come web service chiamiamolo spaziale e seconda cosa che opportunità ci sono di fare imprenditoria in questo senso in località decentrate geograficamente, e la terza, te le dico tutte e tre, quanto la Sardegna e altri poli decentrati potrebbe diventare il paradiso europeo di sviluppatori del genere”, e poi ci fa sapere che a Cagliari, a Casteddu è giornata di mare giusto per metterci un po’ d’invidia. Settore molto interessante quello di Google Earth devo dire che personalmente nella mia attività nelle energie rinnovabili lo uso moltissimo ed è secondo me il prodotto più affascinante dell’internet quindi sono curioso anch’io di sentire se Marco ci da qualche spunto.

Marco: La verità è che non ho grossa esperienza in quel campo, quello che so è che di fatto a naso quello che sta per succedere con i dispositivi portatili che sono sempre più connessi ad internet oramai il fatto di sapere dove sei è importante per cui mettere assieme l’informazione geolocalizzata, l’informazione di presenza in qualche modo nel dire sono disponibile a fare qualche cosa, i miei amici sono qui o non sono qui, oppure capire dove sei effettivamente, ci sono n° business che possono essere sviluppati in quel senso, dall’altra parte sviluppare un business in un ambiente diciamo decentrato fra virgolette, è una cosa che si può fare e di fatto con Tipic noi l’abbiamo fatta perché abbiamo creato il centro di sviluppo degli applicativi il 90 per cento di quello che sviluppavamo lo sviluppavamo a Napoli, avevamo fatto un accordo con un centro di ricerca di Napoli e tramite questo centro di ricerca riuscivamo ad avere le persone più innovative e capaci e mettere assieme dei prodotti che poi sono stati di punta in qualche modo; faccio un esempio, la NASA ha acquisito un server di send messaging che abbiamo creato a Napoli, Google stesso ci ha messo nella mailing list per lo sviluppo per il protocollo video con il mio socio che è uno di quelli più esperti nel protocollo di istant messaging oggi, quindi sono cose che si possono fare anche da Napoli, anche da Cagliari o da dovunque, il punto vero è che lo sviluppo lo puoi fare in posti decentrati però poi il mercato vero è da un’altra parte e allora bisogna assumere un po’ quella connotazione di geometria variabile dell’azienda che fanno tipicamente gli israeliani o gli svedesi che hanno un mercato piccolo in casa e però sono molto attivi nello sviluppo e nelle tecnologie, loro cosa fanno, creano prodotti di alta qualità però poi questi prodotti hanno una sede fisica che permette di venderli negli Stati Uniti che è il mercato di fatto più avanzato. Uno dei motivi per cui si vende negli Stati Uniti è che tu hai bisogno, se hai un prodotto molto innovativo, di venderlo subito perchè devi fatturare e se aspetti che il tuo mercato sia pronto a recepire quella innovazione tecnologica, succede che quel prodotto sia percepito dopo due o tre anni in Europa rispetto all’America, quindi tu sei due o tre anni indietro rispetto ai tuoi competitor americani, perciò possiamo dire: sviluppo nel posto fisico dove vuoi, che tipicamente è il posto dove trovi le persone tecnologicamente più avanzate di cui ti fidi, con cui puoi fare azienda, però poi il “sales and marketing” lo devi fare negli Stati Uniti, ecco.

Michele: Ottimo, credo comunque che dipenda anche molto dai prodotti, personalmente penso che in questa parte dello special web service si può fare molto anche in Italia, non è un mercato piccolo sono 60.000.000 di abitanti c’è una grande componente di architettura ci sono società di ingegneria a livello globale e da qui si può essere una base per tutti i paesi limitrofi mediterranei e diciamo nord africani, non dimentichiamo, insomma molto spesso ce lo dimentichiamo ma sono mercati molto importanti, sulla Sardegna forse per dire una cosa, amica di Casteddu, secondo me ci sono possibilità di far cose molto interessanti, una delle mie società di investimento è azionista di riferimento del gruppo Multionline, che ha tutto il centro operativo vicino all’aereo porto di Cagliari e sono estremamente contenti della scelta fatta.

Qui arrivano molte domande quindi andiamo avanti, Filippo da Messina “esiste una “cartina di tornasole” per capire se un’idea imprenditoriale può avere successo e quindi vale la pena di perseguirla, quale tempo massimo ci si può dare per vedere i primi successi?” domanda molto interessante, molto difficile a cui cedo volentieri a Marco la risposta, ma credo che quello di darsi un tempo limite non sia facile da definire ma sia importante, io dico sempre che la persistenza è importante per un imprenditore, ci sono molti casi di aziende semifallite che poi hanno avuto grandi successi, tantissime anche molto note, però se uno persiste troppo quando dovrebbe smettere è un grosso errore, una cosa che ho imparato investendo e operando è che negli Stati Uniti sono molto più drastici nelle decision, quando una cosa va male “they cut losses”, chiudono il rubinetto e non succede devo dire nulla, molte volte si passa alla cosa successiva con lo stesso imprenditore. Sono curioso anch’io di vedere invece il punto di vista di Marco che ha fatto nella sua vita più di un’azienda e quindi, sono sicuro, si sarà visto più volte di sera di fronte a un bicchiere di vino o di birra a dire che cosa faccio, chiudo tutto o vado avanti.

Marco: Si a me è successo in due casi, è successo nel caso di Let’s Tv la prima azienda, ad un certo punto ho dovuto decidere di venderla anche se non avevo realizzato quello che volevo realizzare perchè a quel punto mi sono reso conto che non aveva più senso diciamo portarla avanti, è difficile rendersi conto se all’inizio l’idea può aver successo o meno perchè sono troppe le variabili su cui non hai il controllo, non conosci bene il mercato spesso e soprattutto, io parlo adesso nel dettaglio di aziende che fanno qualche cosa di innovativo, nel caso nostro di Splinder e Tipic, che devono anche creare il mercato perchè il mercato non esiste prima, quindi addirittura parliamo di un caso in cui non esiste il mercato, perché i blog non li conosceva nessuno in Italia quando siamo partiti, l’istant messaging era qualcosa di poco usato, si veniva usato ma non nel modo in cui l’abbiamo integrato con la community per cui lì sono talmente tante le variabili che di fatto il driver principale per cui uno decide di fare azienda secondo me è la passione poi perché ti piace fare quella cosa, diverso è poi invece la scelta nel dire ok sono tre anni che faccio questa cosa ad un certo punto che faccio continuo o no, beh lì dipende abbastanza dal feedback che hai, da varie cose, dalle persone con cui lavori, se sono felici di lavorare perché capiscono che c’è un potenziale inespresso, oppure si afflosciano e tu devi comunque tagliare. Una delle cose che devi fare sempre è motivare le persone, motivare le persone perché non tutti hanno la vision di andare avanti ogni volta e tu devi essere lì e dire guarda si sei giù, non ce la facciamo adesso però guarda che le cose migliorano e tutto il resto, quindi diciamo nel nostro caso quello che ci ha fatto andare avanti non era tanto il fatturato perché il fatturato fino addirittura alla vendita non è stato enorme, però era il ritorno che veniva dai blogger e dalle persone che usavano la nostra piattaforma, ogni giorno che passava c’erano più persone che aprivano i blog, c’erano più pagine viste, dovevamo comprare nuovi server e far crescere la cosa, allora in quel caso non ti blocchi, non pensi neanche di interrompere la cosa anche se non stai fatturando abbastanza perché hai dei feedback chiari, ci sono altri casi, come il caso di Let’s Tv che un anno e mezzo a cercare di vendere, non vendevo poi fortunatamente sono riuscito a venderlo però lì era chiaro che sarebbe andato tutto talmente lentamente che era il caso di chiudere.

Michele: Ok grazie, prossima domanda Silvio da Milano, questa è una domanda importante “che cosa sono Venture Capital e Business Angel?” magari rispondo io, abbiamo un po’ la tendenza a dare tutto per scontato in Italia, queste cose sono meno note al pubblico, magari passo due minuti a spiegare di cosa si parla. Dunque quando uno parte, le aziende hanno se vogliamo alcuni tipi di finanziamento, uno è il capitale proprio dell’imprenditore o della sua famiglia, un altro sono i finanziamenti bancari di vario tipo, e il terzo è il capitale non proprio quindi di terzi. In Italia chiaramente sono molto noti i finanziamenti bancari, ce li hanno tutte le aziende, meno noto è il metodo di far crescere le aziende con capitale esterno perchè chiaramente quando un’azienda è in una fase embrionale o di sviluppo ma in ogni caso non genera ancora flussi di cassa non è, e questo io lo dico sempre, non è il lavoro delle banche né italiane né francesi né americane dare soldi all’azienda. Il debito deve essere garantito in qualche forma, o dai flussi di cassa o da qualche forma di garanzia tangibile, per cui nei casi in cui il debito non e’ fattibile interviene quello che si chiama capitale di rischio. Cosa interessante secondo me che non tutti sanno, si parla moltissimo del private equity del settore del buy out quindi di comprare aziende sviluppate già diciamo consolidate e di farle crescere, migliorarne la performance e si pensa che sia nato questo in America prima del venture capital, non è così, il venture capital è nato molto prima, è nato diciamo già addirittura prima della seconda guerra mondiale ma si è ancora più sviluppato dopo ed è nato con le grandi famiglie, in primo luogo i Rockfeller con il fondo Venrock.ma anche i Whitney, i Morgan tutti i grandi banchieri imprenditori americani che hanno deciso di dedicare una parte del loro patrimonio nel finanziare imprenditori giovani ovviamente in ottica che gli interessava farlo e anche perché sapevano che trovandone qualcuno bravo potevano guadagnare molto, quindi questo è quello che è il Venture capital, il capitale di rischio, non ha nessuna garanzia se l’azienda va male si perdono tutti i soldi e i limiti di ritorno sono infiniti, vi cito alcuni esempi eclatanti, Yahoo aveva ridato agli investitori più di mille volte il capitale investito Google credo che bisogna aggiungere ancora uno zero, questi sono casi eclatanti che avvengono chiaramente ogni 5-10 anni, però il Venture Capital negli Stati Uniti ma anche in certe regioni Europee è ormai molto sviluppato, si parla di miliardi di dollari investiti ogni anno, non dimentichiamo un’altra categoria che è quella dei business angel anche questa poco conosciuta anche se invece molto attiva in Italia in modo non strutturato, business angel che alcuni chiamano business devil, cioè diavoli del business poi dipende come si comportano con gli imprenditori, sono fondamentalmente investitori privati, che possono essere imprenditori ma anche manager, anche professionisti, quindi anche avvocati e così via, che investono in aziende innovative, negli Usa l’ammontare investito ogni anno dai business angel è pari a quello investito dal venture capital, quindi non dimentichiamocelo perché è un punto molto importante quando si dice in Italia non vengono finanziate nuove aziende, i fondi americani non finanziano mai gli start up entrano sempre e comunque quando l’azienda è già un po’ sviluppata, la prima fase che è quella critica dove forse in Italia c’è più carenza di capitali i primi 200 mila euro, 300 mila euro, quelli che un giovane sicuramente non ha vengono forniti da privati. Non so se ho risposto alla domanda, ma è un tema cheavremo modo nelle varie trasmissioni di sviscerare, comunque queste sono le due definizioni se vogliamo.

Marco: Nella prossima trasmissione, sicuramente quando intervisterò te ci sarà tempo per spiegarlo più in dettaglio, quello che volevo aggiungere è che se ci fosse più venture capital in Italia le cose probabilmente andrebbero bene per chi, come noi è voluto partire da zero, il punto vero poi è che accettare soldi da venture capital, non è una cosa semplice anche per l’imprenditore che accetta perchè bisogna strutturare in qualche modo l’azienda in maniera seria, avere un business plan serio, e soprattutto c’è bisogno che dall’altra parte, da chi da i soldi, dal venture capital ci sia la comprensione di quello che fa l’azienda, oggi in Italia se tu vuoi fare tecnologia avanzata, hai pochi dall’altra parte che capiscono quello che stai facendo, e questo è un po’ il limite per cui da un lato ci sono pochi imprenditori che in qualche modo sono capaci di strutturare un business plan, un’azienda in maniera tale che il venture capital possa poi investirci dentro, però dall’altra parte è anche vero che il venture capital in Italia è un po’ carente nel capire la tecnologia, parlo in generale, chiaramente.

Michele: Ecco magari continuando sul tema ci sono un paio di domande, la prima “perché in Italia non ci stanno Business Angel”, beh sia io che Marco se troviamo aziende nuove interessanti siamo interessati, in realtà, se vuoi rispondere tu Marco di Business Angel ce ne sono, non sono forse conosciuti.

Marco: Si, di nuovo dipende di che cosa stiamo parlando, quello che è successo in Italia negli ultimi anni è che tanti hanno fatto i soldi sul mattone, quando succede questo diciamo, poi andare ad investire in settori innovativi, chi appunto ha fatto i soldi sul mattone, senza voler dare giudizi di merito su questo, ha difficoltà a capire dove sta mettendo i soldi, in più quello che è successo è che si sconta ancora la bolla speculativa di Internet per cui continui a parlare, a cene con qualcuno che ha perso l’80 il 90 per cento del capitale investito sette anni fa, beh con queste persone tipicamente è un po’ difficile parlare e dirgli guarda che c’e questa azienda innovativa con questo prodotto innovativo, bruciato una volta, non investirà più, il problema è che ci sono ancora pochi imprenditori di nuova generazione che si soni fatti da soli e che hanno casomai accumulato del capitale che sono capaci invece di fare queste scelte, capaci di capire che cosa è interessante che cosa non è interessante, che cosa può avere successo e che cosa non può avere successo ed investire in quelle cose. Cioè ciascuno deve fare un po’ il suo mestiere, se tu capisci quel business puoi investirci, poi vale sempre quello che c’è sul venture capital, cioè investi su 10, e 1 ha successo, no?

Michele: Però devo dire a mio avviso nell’area se non altro milanese, anche nell’area del nord est, parzialmente nel nord ovest ci sono molti imprenditori che investono in altre aziende rispetto a 10 anni fa quando sono partito io c’è gente, alcuni hanno perso i soldi alcuni ne hanno guadagnati, però devo dire che è già pi ù sviluppato, questi sono processi chiaramente molto graduali, dico solo quello che aiuta molto per esempio in Francia e in Inghilterra è una cosa che so e allo studio almeno è stata proposta anche in Italia, esistono degli sgravi fiscali importanti credo ci fossero anche negli Usa poi gli avevano tolti, non sono più aggiornato, molti importati per privati che investono in aziende innovative quindi vuol dire che l’investement bank di Londra che ha il buono di fine anno una parte di questo lo mette nello start up dell’amico ne ha una riduzione fiscale c’è un guadagno doppio, e questo secondo me dovrebbe essere fatto in Italia così come si stanno facendo programmi per incentivare l’investimento più istituzionale.

Andiamo avanti perché sono arrivate molte domande Paola da Roma “la tua azienda riceve denaro pubblico?”

Marco: No, non lo riceve non l’ha mai ricevuto non so qual è il tuo caso, nel mio caso, ricevere denaro pubblico avrebbe avuto questa conseguenza, immagino, avremmo dovuto chiedere finanziamenti aspettare tre anni, il mercato sarebbe passato, abbiamo fatto tutto da soli e comunque continueremo a fare tutto da soli. Quando, di nuovo, si investe in tecnologia, dall’altra parte anche se c’è denaro pubblico questo denaro pubblico è difficile che sia speso in maniera efficiente nella tecnologia perché c’è bisogno che dall’altra parte chi spende questo denaro, sia capace di capire qual è il mercato, dove va il mercato, queste cose tipicamente funzionano se i soldi che ricevi sono privati, di privati che credono in quello che fai, che mettono il loro portafoglio e rischiano con te in qualche modo, non è il denaro pubblico che fa partire la tecnologia.

Michele: Anche qui però bisogna forse dare un punto di vista di nuovo dal mercato internazionale, negli Usa esisteva, credo che adesso non ci sia più, un programma lo “small business investment program”, che ha aiutato moltissime aziende nell’attività di ricerca, in Inghilterra in Francia, la ricerca applicata in qualche modo viene supportata: sgravi fiscali, contributi diretto, finanziamenti agevolato, io personalmente non ci vedo niente di male mi sembra anche giusto, se queste cose vanno nei settori giusti, per esempio il settore dell’energia rinnovabile quello di cui mi occupo io adesso è molto supportato dai governi ma è anche una causa se vogliamo indispensabile strategica per una nazione per cui dipende chiaramente, è vero che in Italia c’è stata un po’ la tendenza a supportare settori meno strategici però sulla ricerca io vedo che in tutti in tutti paesi Europei e negli USA ci sono programmi di questo tipo.

Marco: No ma sulla ricerca è fondamentale, dobbiamo investire in ricerca, quello che prima sottolineavo è che poi chi presta i soldi non deve essere lo Stato.

Michele: Certo, allora Lucia da Milano, questa è una domanda affascinante per me che sono un grande appassionato dell’India “sono tornata dall’India da poco appena arrivata a Milano è come se per sbaglio avessi tirato il freno a mano della macchina, non hai la stessa impressione soprattutto lavorando in un settore come quello informatico, non ti sembra che l’Italia sia ormai una provincia arretrata dell’impero globale che arriva sempre in ritardo.” C’è un po’ di pessimismo italiano in questa domanda però è vero, sono stato anche in India a Dicembre, noti un ritmo notevole forse nelle grandi città, semmai nelle campagne è un po’ diverso.

Marco: Si sicuramente allora quello che è successo in Italia è che in qualche modo abbiamo veramente tirato il freno a mano su tutto, e questo è un problema perché ci sono tanti ragazzi giovani, ora non più tanto giovani insomma, però anche ragazzi più giovani di 20-30 anni che potrebbero in qualche modo creare innovazione e sviluppo e non lo fanno per tante ragioni, non lo fanno perchè non hanno dei role models, come si dice in inglese, cioè dei punti di riferimento di persone che in qualche modo dicono: ce l’hanno fatto da soli, lo facciamo anche noi; motivo per il quale stiamo pensando a questa associazione che semplicemente dovrebbe far vedere diciamo mettendo intorno ad un tavolo, persone che come noi ce l’hanno fatta diciamo da soli veramente, mostrare ai giovani che questa cosa si può fare. Però dall’altra parte c’è anche un problema più strutturale in Itali in qualche modo, che lo vedi proprio, lo senti, è che in Italia non si fa tecnologia, in Italia si compra tecnologia, cioè noi siamo diventati un paese che acquista tecnologia e la rivende in qualche modo alla popolazione italiana, non innoviamo più e non innovatore significa poi essere un po’ relegati dietro, ti faccio un esempio noi quando abbiamo creato Tipic che poi è la società che ha creato Splinder e l’abbiamo fatto nel 2001-2002 diciamo, abbiamo iniziato a sviluppare questa che è una piattaforma di istant messaging, non voglio entrare troppo nel dettaglio, comunque tecnologicamente molto avanzata, nel giro di 4 anni questa azienda è stata di fatto un azienda americana, il motivo per cui l’abbiamo fatta americana pur avendo lo sviluppo in Italia l’ho spiegato prima, perché se vuoi vendere software in qualche modo devi avere un mercato più grande di fronte, però ti posso assicurare che in 5 anni noi almeno 2 volte al mese riceviamo da aziende sconosciute indiane proposte per sviluppare fare l’outsourcing del nostro software in India. Di tantissime aziende di tipi diversi ma che di fatto quello che vogliono e si propongono verso l’azienda americana, perché eravamo percepiti come azienda americane a fare outsourcing del software in India, insomma questa gente in questo momento sta sviluppando tecnologia, per adesso sviluppa tecnologia senza grossa innovazione se vuoi perch é sviluppa quello che è idea di altri, ma pochi anni passeranno ed inizieranno ad avere le loro idee, a quel punto noi se non ci siamo dati una mossa saremo sempre più col ferro a mano.

Michele: Ottimo, credo che ci sia anche, scusate sono arrivate parecchie domande, c’è un punto importante su questi grandi paesi dell’Asia, c’è una differenza demografica da non trascurare la loro età media è molto più bassa, i cinesi e gli indiani vivono con l’ambizione di tornare ad essere quelli che erano perché già erano i primi del mondo nel secolo scorso, detto ciò non scoraggiamoci il nostro è un paese comunque importante e con molte risorse e si possono fare molte cose. Giorgio da Carmagnola, questa è la mia città Natale e quindi sono contento che ci sia provincia di Torino, Marco ha venduto la società ma è ancora coinvolto quindi penso che la domanda sia pertinente non so se puoi rispondere essendo una società quotata “come pensi di espandere la società, punterai sull’estero o sulla penisola italiana e come pensate di procedere con Splinder”

Marco: Sono ancora coinvolto chiaramente perché chi compra ovviamente vuole che il management dell’azienda che sta comprando resti all’interno per proseguire lo sviluppo, quello che è successo quando Dada che è del gruppo RCS ha deciso di comprarci lo ha fatto sulla base di un business plan che si sono sviluppati diciamo al loro interno che va nella direzione di far convergere il web, perché Splinder era al 100 per 100 sul web, con il mercato del wireless dove invece Dada è molto avanti, e questa integrazione la stanno portando sempre più avanti ed in maniera molto corretta secondo me anche espandendosi all’estero di fatto Dada è già presente negli Usa in Sud America in vari altri paesi anche dell’Asia per cui voglio dire, il comprare la tecnologia, il know-how è una cosa molto normale che si fa tipicamente negli Usa, le aziende crescono per acquisizione, si porta know-how dentro e il mercato che si ha a disposizione, al mercato gli si da anche nuova tecnologia, nuova capacità per cui l’idea è partita da quello e il progetto di integrazione va avanti su quello.

Michele: Ok abbiamo una domanda dalla California che ti faccio subito ma credo a San Francisco, dove ormai sono le 9 quindi non è prestissimo, questa è una domanda devo dire molto importante “in California ci sono molte grandi aziende che formano l’anello conclusivo della catena del venture capital quindi garantendo opportunità di uscita dall’investimento per i fondi che hanno investito nelle start up e aggiungo che sono anche i primi clienti, sono quelli che sperimentano le nuove tecnologie perchè essendo molto grandi possono permettersi di farlo, com’è la situazione in Italia” questa credo che sia una domanda di importanza rilevante.

Marco: Si, diciamo che più in generale quando uno crea un’azienda in Italia, quando uno crea un’azienda in generale, ha di fronte alcune scelte, o la fai crescere come dicevamo prima o la vendi oppure in qualche modo la finanzi, e poi la quoti. Nel caso italiano, l’acquisto da parte di un’altra grande società della tua società che hai creato è un fatto un po’ più complicato, nel senso che ci sono meno attori possibili acquirenti della tua società, di fatto è vero che abbiamo fatto l’Europa e l’Europa sarà una bella opportunità però oggi, e lo sai benissimo, costruire un’azienda in Europa non ha senso, costruire un’azienda, la costruisci in Italia poi fai la sede in Francia, in Inghilterra, in Germania, sono tutti mercati diversi da seguire, potenzialmente alcune aziende hanno un mercato di 350 milioni di persone che sono gli Europei, di fatto sono tanti piccoli mercati, piccoli fra virgolette, stiamo parlando di 60/70 milioni di persone, però di fatto nel caso di Splinder e Tipic, l’azienda che ho creato, il mercato era soprattutto il mercato italiano, anche se devo dire siamo stati contattati da aziende internazionali al momento in cui si è trattato di vendere in qualche modo, quindi c’erano i soliti attori noti italiani far i quali l’ha spuntata Dada e quindi il gruppo Rcs, ma c’erano anche un paio di attori internazionali molto interessati alla tecnologia sviluppata e alla community che si era creata intorno, però effettivamente questo è un problema in Italia, ma anche in Europa in generale motivo per cui quando si crea tecnologia e innovazione, che è diverso da quello che diceva Michele, perchè si possono creare business anche in Italia che hanno l’Italia come mercato di riferimento, ma quando crei tecnologia e innovazione il tuo mercato deve essere il mondo, e si parte dagli Usa in generale.

Michele: Ottimo, Salvatore da Napoli, questa è una domanda ricorrente “con le banche italiane come ti sei trovato e con la burocrazia?”

Marco: Con le banche italiane non ho avuto nessun rapporto praticamente per il motivo che dicevi tu prima, una start up, un bootstrap non viene finanziato da una banca ma viene finanziato da venture capital, noi dagli angel non siamo stati finanziati di fatto, non abbiamo cercato, per quanto riguarda la burocrazia quello è un punto dolente, noi l’abbiamo superato in qualche modo perchè l’azienda era di fatto basata come corporate entity negli Usa e vi posso dire che aprire un’azienda negli Usa con 100 dollari la apri in due giorni, la dichiarazione dei redditi che in Italia prevede un commercialista, e passare dal commercialista almeno una volta al mese con tutte quelle che sono le incognite no? Col commercialista che ti dice che questa legge è cambiata però forse se fai così non fai così e quindi passi il tempo a parlare col commercialista invece di fare business diciamo, negli Usa ti basta mandare un excel una volta l’anno e fare la dichiarazione, quello che succede negli Usa in generale è che il controllo te lo fanno a posteriori , se trovano che hai sbagliato lì ti castigano pesantemente però non ti fanno un controllo a priori per cui ti ammazzano a priori con la burocrazia come c’è in Italia. Io credo che in Italia si potrebbe sfoltire veramente tanto, chiaramente non spetta a noi perché non siamo quelli, però almeno possiamo dare dei consigli, in altre parti del mondo si fa molto più rapidamente.

Michele: Ecco però su questo punto devo dire a mio avviso c’è anche qui sempre un po’ il pessimismo e negativismo italiano, io ho partecipato alla creazione di aziende in tutta Europa, negli Usa, in India, lasciamo perdere la Cina, la burocrazia c’è dappertutto, in alcune nazioni Europee, Francia, Germania, ce n’è molta più che da noi, è vero è molto pesante, lo è un po’ dappertutto, i controlli ad esempio fiscali in Francia sono una roba incredibile, ogni due anni un’azienda riceve un controllo completo qualsiasi cosa abbia fatto, hai dei vincoli di consiglio di amministrazione pesantissimi per cui il nostro paese è molto migliorabile da un punto di vista burocratico, lo sono un po’ tutti quelli europei con forse l’eccezione dell’Inghilterra.

Molte domande interessanti, cerchiamo di selezionarle perché il tempo sta diventando scarso, ce n’è una da Bologna Almamaster che immagino sia la scuola che partecipa “quale evoluzione per le piattaforme blog in Italia, le pubbliche amministrazioni possono essere interessate, esistono potenzialit à non sfruttate, quali sono le più importanti” questa mi sembra una domanda dove nessuno meglio di Marco penso in questo paese possa rispondere.

Marco: Sicuramente la pubblica amministrazione deve usare il blog, il blog è semplicemente uno strumento per avere una presenza on line web, è facile da aggiornare e quindi la pubblica amministrazione che voglia entrare in contatto con i propri utenti ed in più quello strumento è poco costoso perchè non prevede un’azienda esterna che faccia assistenza per mettere on-line le cose, poi dipende se la pubblica amministrazione vuole o non vuole parlare ma quello è un altro discorso, lo strumento è potentissimo ed è veramente interessante, qual era l’altra domanda invece?

Michele: Potenzialità non sfruttate del blog.

Marco: Per adesso il blog è una bellissima cosa che viene sfruttata da giornalisti, scrittori, persone per incontrarsi, sicuramente ci sono ancora pochi che hanno il blog in Italia, rispetto per esempio in Francia dove ce ne sono milioni, in Italia ce ne sono centinaia di migliaia ma stiamo salendo.

Michele: Ecco una domanda difficile, perlomeno una domanda difficile ci vuole in queste trasmissioni, Antonio da Roma “ domani diventi presidente del consiglio italiano.” Che ti auguro di riuscirci un giorno “ qual è il primo provvedimento che prenderesti per promuovere l’imprenditoria nel paese?” quindi hai soltanto una scelta.

Marco: Faccio una premessa, diciamo, io mi sento imprenditore nel senso che prima ero dipendente di un’azienda adesso sono un imprenditore, non sono un politico diciamo, e neanche voglio farlo, come immagino te, detto questo, guardandomi dalla parte dell’imprenditore, cioè da chi vuole creare qualche cosa, liberalizzare l’economia in generale, se devo dare una risposta, è la cosa più importante da fare in questo momento perché quando diciamo che in Italia non c’è mercato per aziende che fanno tecnologia è anche perché le aziende che poi dovrebbero comprare questa tecnologia non essendo in competizione feroce con altre aziende non investono in nuova tecnologia, aspettano e poi la tecnologia gli arriva dall’estero, se ci fosse più libertà in qualche modo più competizione tra le aziende a quel punto si innescherebbe un circolo positivo per cui anche le aziende cercherebbero in Italia nuova tecnologia.

Michele: Ecco, concordo pienamente con Marco, se posso dare due dati quando è stato aperto il mercato delle telecomunicazioni ci sono state tantissime nuove aziende, adesso che si sta aprendo il mercato dell’energia di nuovo c’è una forte spinta imprenditoriale, l’Italia è un paese di imprenditori, ci sono sempre stati fino agli anni 70-80 delle grandissime aziende create di sviluppo globale e ogni volta che si da un impulso ad un settore, qualunque esso sia la gente ci si butta, nonostante la burocrazia, le tasse il diritto del lavoro che nelle diverse sfaccettature sono problemi che hanno un po’ tutti i paesi sviluppato, quindi Marco concordo con te con le liberalizzazioni, fatte ovviamente con il dovuto accorgimento sono una cosa fondamentale.

Domanda importante questa fatta da Giuseppe da Roma, “ritieni che la paura del fallimento la sua percezione sociale scoraggino lo spirito imprenditoriale in Italia?”.

Marco: Sì assolutamente, questo è un grosso problema che abbiamo in Italia ma è solo un problema psicologico purtroppo, succede anche a noi, nel mio caso ero stato dipendente di grandi aziende alcune anche per cui sei contento di lavorare per cui non lasceresti mai diciamo, decidere di fare l’imprenditore e di mettersi in gioco in qualche modo è una cosa veramente difficile da fare, soprattutto perché non viene tollerato il fallimento; fallire in Italia equivale a non avere una seconda chance in teoria, io considero la prima impresa che ho fatto un mezzo fallimento però come dicevo prima è stata la cosa che mi ha permesso di imparare tanto e non fare gli stessi errori che ho fatto, l’impressione che ho avuto quando ho frequentato la costa ovest degli Usa è che invece lì quando si finanziano le attività si cerchi addirittura dei fallimenti pregressi perchè si sa che, lo devi spiegare il fallimento lo devi sostanziare, però si sa che sostanzialmente chi ha fallito ha capito la lezione e non fallisce nuovamente quindi di fatto se io adesso dovessi assumere delle persone che hanno fallito, cercherei di guardare alla persona e lo vedrei anche come un fatto positivo quello che hanno fallito.

Michele: Bene, ci sono tante domande a cui purtroppo non possiamo rispondere, molte cose le abbiamo abbastanza trattate, ho io una domanda per Marco che è l’ultima domanda di questa trasmissione “l’imprenditoria alla fine è basata su dei sogni, cioè l’imprenditore deve avere qualcosa in testa che gli altri non hanno, deve avere dei mercati, deve avere delle visioni diverse, o avere una visione di come lui vuole diventare, qual è il tuo sogno Marco?”

Marco: Il mio sogno diciamo non è cambiato dall’inizio da quando ero piccolo di fatto ed è quello di scoprire ed imparare cose nuove, qualunque cosa mi dia questa possibilità io poi la perseguo e sono felice, l’ho fatto quando ho studiato, pensavo che ingegneria mi desse questa possibilità, l’ho fatto quando ho lavorato per altre aziende perchè mi hanno dato la possibilità di scoprire o cose nuove o scoprire nuovi paesi: sono stato in Francia, in Sud America ho girato il mondo e fino a quando ho scoperto cose nuove sono riuscito a stare in azienda, quando poi ho visto che per continuare a scoprire cose nuove ed imparare e costruire era necessario costruirsi l’azienda allora a qual punto continuo a perseguire il mio sogno, che è quello.

Michele: Ecco direi che con questo abbiamo finito la prima puntata di face2face Capturing Creativity ringrazio tutti quelli che sono stati on-line con noi, ricordo a chi non lo sapesse che l’ambasciatore Spogli è lui stesso un imprenditore di prima generazione, i genitori erano emigrati dall’Umbria, lui è diventato un importante imprenditore nel private equity ed è molto legato all’Università di Stanford per questi due motivi, ci fa molto piacere che ci dia l’opportunità di fare questa trasmissione, grazie delle numerosissime domande, mi scuso ancora con quelli che non siamo riusciti a soddisfare, però i temi li abbiamo trattati. La prossima trasmissione il 28 marzo alle ore 16:00 quindi un’ora prima ci sarà Marco che intervista me, non essere troppo cattivo mi raccomando.

Marco: No, voglio fare solamente un inciso qui, intervisterò Michele, e Michele è assolutamente una persona interessante perchè ha due cappelli di fatto, ha il cappello di Venture Capital che ha fatto all’inizio della sua carriera di imprenditore e adesso imprenditore nell’energia rinnovabile e solare, per cui da lui potrete veramente capire parecchio perché da un lato è colui che finanziava e dall’altro è invece l’imprenditore adesso.

Michele: Per cui grazie a tutti e se avete commenti ovviamente mandateli all’e-mail citata sul sito, cos ì adatteremo la trasmissione nel modo più interattivo e più consono ai vostri possibili desideri, spero che da questa cosa imparerete, che sia utile, e come dicevo, è un modo per me e per Marco di passare un po’ delle cose che abbiamo imparato ai giovani che vogliono fare imprenditoria e che speriamo siano tanti per la crescita di questo paese. Grazie a tutti.

 

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