CASSAZIONE CIVILE   -   RESPONSABILITA' CIVILE
Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-04-2012, n. 6260

Svolgimento del processo

B.N., nell'impugnare la sentenza con la quale il tribunale di Bologna, nel maggio del 2003, ne aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni a suo dire conseguenti all'uso del farmaco "Catergen", lamentò:

L'erroneità delle conclusioni raggiunte dal CTU, e recepite in sentenza, in punto di pericolosità del detto farmaco;

L'erroneità della pronuncia del giudice felsineo per avere escluso che l'attività di importazione e commercializzazione di farmaci fosse da ricomprendersi tra quelle pericolose ai sensi dell'art. 2050 c.c.;

L'erroneità, ancora, della medesima pronuncia nella parte in cui aveva escluso l'esistenza di un nesso causale tra l'assunzione prolungata del Catergen e le proprie, gravi patologie conseguenti a tale assunzione.

La corte di appello di Bologna, investita del gravame, lo rigettò, osservando:

Che, quanto alla doglianza riferibile al preteso esercizio di attività pericolosa, ex art. 2050 c.c., da parte della società produttrice del farmaco, essa integrava irredimibilmente gli estremi della domanda nuova - del tutto nuova risultando, nella specie, la causa petendi -, come tale inammissibile ex art. 345 c.p.c., comma 1;

Che il giudizio del collegio peritale nominato in appello - affermativo della insussistenza di una significativa relazione etiologica tra l'assunzione di cianidanolo (sostanza contenuta nel farmaco Catergen) e la lamentata insorgenza, nella paziente, da un canto, di una patologia emorragica gastrica acuta, dall'altro, di una anemia della quale nessuna indizio diagnostico consentiva di ricostruirne la pretesa natura emolitica - non era "in alcun modo scalfito dalle innumerevoli perizie depositate dalla B.", attesone il rispettivo contenuto (folio 5 della pronuncia oggi impugnata);

Che, in particolare, la B., prima di assumere il Catergen, era risultata affetta, oltre che da epatite cronica (alla cui cura il farmaco era diretto) anche da una gastrite cronica antrale e da una poliartrosi, onde la elevata probabilità che la diagnosi emessa dai sanitari in occasione del ricovero subito dall'appellante nel 1986 circa l'origine iatrogena della gastrite da essi trattata si riferisse all'assunzione di ketoprofene, farmaco antiinfiammatorio dall'effetto tossico diretto proprio sulla mucosa gastrica. La sentenza è stata impugnata da B.N. con ricorso per cassazione articolato in 2 motivi ed illustrato da memoria. Resiste con controricorso la Novartis Consumer Health.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di principi generali dell'ordinamento (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all'art. 345 c.p.c., comma 1;

insussistenza della novità della domanda di risarcimento danni ex art. 2050 c.c..

A sostegno della doglianza, la ricorrente lamenta l'erroneità della interpretazione adottata dalla corte felsinea con riguardo alla domanda introduttiva del giudizio di primo grado, domanda il cui contenuto sostanziale non poteva, di converso, che dirsi evocativo della pericolosità del preparato così come prodotto e distribuito dalla casa farmaceutica convenuta.

Il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato.

Nell'invocare una pretesa tempestività della contestazione di pericolosità del farmaco, poi ritirato dal mercato dalla stessa produttrice, la difesa della B. omette del tutto di riportare - in evidente spregio del principio di autosufficienza del ricorso - il contenuto dell'atto di citazione rilevante in parte qua, onde consentire a questa corte l'invocato controllo di legittimità circa la supposta, immotivata pretermissione, da parte del giudice territoriale, dell'invocato esame contenutistico di quell'atto e della sua rilevanza al fine di escludere la violazione, sì come rilevata dalla corte felsinea, dell'art. 345 c.p.c..

Nel merito, esso è poi destinato ad infrangersi irrimediabilmente sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d'appello nella parte in cui si è ritenuto che la domanda, così come formulata in prime cure, avesse ad oggetto una fattispecie di responsabilità affatto diversa da quella iscritta nell'orbita del disposto normativo di cui all'art. 2050 c.c..

Tale motivazione, esente da vizi logico-giuridici, merita integrale conferma, non risultando alterato, nella specie, nè il senso letterale, nè il contenuto sostanziale dell'atto di cui si invoca una diversa lettura (ex multis, Cass. 2148 del 2004).

Con il secondo motivo, si denuncia un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione alla sussistenza del nesso causale tra l'assunzione del farmaco Catergen ed i gravissimi disturbi subiti dalla sig.ra B.N..

Insufficiente considerazione delle risultanze istruttorie.

Sostiene, in proposito, la ricorrente:

Che la corte di appello si sarebbe basata esclusivamente sull'acritico recepimento delle risultanze della CTU, peraltro erronea e perciò oggetto di puntuali e ripetute censure;

Che la corte territoriale avrebbe omesso di considerare la copiosa documentazione medica prodotta sin dal giudizio di primo grado;

Che la corte bolognese avrebbe insufficientemente e contraddittoriamente motivato le ragioni per cui si era determinata a disattendere autorevoli pareri specialistici prodotti dalla parte attrice, prospettando soluzioni antitetiche rispetto a quella contenute nell'elaborato predisposto dal collegio peritale nominato nel primo grado del giudizio in ordine al nesso causale tra l'assunzione del farmaco e i disturbi manifestatisi nella paziente successivamente e in concomitanza con l'assunzione dello stesso.

Il motivo non coglie nel segno.

Ben lungi dal "recepire acriticamente" le risultanze della CTU di appello, la corte territoriale ha, di converso, svolto precise e puntuali considerazioni in ordine alle risultanze della perizia, individuando (per escluderlo) nel nesso etiologico tra l'assunzione di cianidanolo (principio attivo del Catergen) e l'insorgere della gastrite acuta emorragica il punto focale della lamentata vicenda di danno. La motivazione, che si sottrae tout court alle critiche ad essa mosse dalla ricorrente attesane la puntualità, la logicità, la correttezza, la conformità a diritto, non può che essere in questa sede confermata, non senza considerare che il motivo in esame, pur lamentandone formalmente un decisivo difetto, si risolve, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. La ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza realmente rilevante sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, indugia piuttosto nella evocazione di una lettura delle risultanze procedimentali difforme da quella operata dalla corte territoriale, muovendo all'impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle - fra esse - ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E' principio di diritto ormai consolidato quello per cui l'art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logico/formale e della conformità a diritto - delle valutazioni compiute dal giudice d'appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello - non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità. Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue - giusta il principio della soccombenza - come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 3200, di cui Euro 200 per spese, oltre alle spese generalità ed agli accessori di legge.

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